domenica 30 agosto 2009

LA PLIOMETRIA

Tratto da: "Allenamento e prestazione sportiva"

Autore: Edo Patregnani - Edizioni Ermes 1990

L’energia destinata al gesto atletico (come spiegato nella sezione fitness) viene prodotta mediante la contrazione dei muscoli. Contrazione che – schematicamente – può essere catalogata in tre grandi categorie:

isotonica (contrazione che provoca movimento dell’arto interessato);

isometrica (che non provoca movimento);

pliometrica, ovvero una contrazione isotonica preceduta dallo stiramento del muscolo.

Questo tipo di contrazione rappresenta la forma più comune di attività muscolare riscontrabile nella corsa, nei salti e in numerose altre esercitazioni sportive.

Nei lanci in atletica, i gruppi muscolari che partecipano al movimento subiscono un allungamento prima dell'azione finale del lancio stesso, allungamento provocato sia dalla forza d'inerzia di alcune parti del corpo sia da quella dei vari attrezzi usati (peso, disco, giavellotto o martello). Nei salti in genere un arto inferiore o entrambi vengono "stirati" dall'azione combinata dalla massa dell'atleta e dalla sua velocità (energia cinetica) prima di contrarsi nuovamente. Nella corsa, quando il piede urta, il suolo i muscoli contratti della gamba e della coscia vengono forzatamente stirati prima della successiva spinta in avanti-alto.

Le esercitazioni in cui la contrazione concentrica del muscolo viene preceduta da un accentuato stiramento dello stesso muscolo contratto, rientrano sotto il nome di pliometria. Le esercitazioni pliometriche si basano sui seguenti principi :

Lavoro positivo - quando il muscolo si contrae per produrre energia cinetica (accelerazione del corpo o di un attrezzo), compie un lavoro positivo;

Lavoro negativo - quando il muscolo in stato di tensione anziché accorciarsi viene stirato da una massa che si sposta e la forza impiegata agisce in direzione opposta allo spostamento di tale massa (per esempio avviene scendendo le scale), si compie un lavoro negativo.

Abbiamo già visto che nel lavoro positivo l'energia prodotta dalla contrazione si trasforma in lavoro meccanico e in calore. Nel lavoro negativo, invece, l'energia che si produce si trasforma parte in calore e parte in energia elastica, che può essere immediatamente utilizzata per compiere un successivo lavoro positivo.

Analogamente a una palla che rimbalza , in cui lo spostamento in avanti-alto della stessa è dovuta all'energia elastica accumulata in seguito alla sua deformazione nell'attimo in cui urta contro il suolo, l'energia immagazzinata nella componente elastica (muscoli) e negli elementi elastici in serie (tendini) viene restituita durante la successiva spinta in avanti o in alto.

Durante la fase in cui il muscolo compie un lavoro negativo avviene un accumulo di energia potenziale di deformazione elastica, la quale dopo il passaggio dal regime di cedimento a quello di superamento può trasformarsi in energia cinetica.

In fisiologia la distinzione tra lavoro positivo e lavoro negativo è molto importante, dato che la forza che un muscolo può sviluppare è molto differente se lo stesso viene accorciato dalla contrazione o viene preventivamente stirato da un lavoro negativo.

Riportiamo brevemente le caratteristiche fondamentali del lavoro negativo:

- se la velocità della distensione muscolare risulta relativamente bassa si ha produzione di energia termica (calore); - se la velocità di distensione è relativamente elevata si ottiene un accumulo di energia elastica che potrà essere restituita quando il muscolo, dopo essere stato stirato, si accorcia nella successiva contrazione; - la tensione del muscolo cresce in proporzione alla velocità con la quale viene stirato.

Torniamo a riproporre, ora, l'analogia tra una sfera elastica e l'azione muscolare. Se una palla è lasciata cadere sul terreno l'altezza del rimbalzo dipenderà sia dall'elasticità della sfera, cioè dalla resistenza che oppone la sua superficie alla deformazione nell'urto, sia dalla velocità con cui la sfera colpisce il terreno, cioè dalla sua energia cinetica .

Da tutto ciò risulta che per ottenere un'altezza di rimbalzo ottimale abbiamo bisogno sia di una forte energia cinetica sia di un corpo elastico ideale. L'energia cinetica dipende dall'altezza di caduta (cioè dalla velocità verticale od orizzontale). L'elasticità, dipende dalle proprietà della muscolatura (ponti actomiosinici). Ci si pone ora il problema di come mantenere il giusto rapporto tra la necessità d'incremento della forza e il miglioramento delle capacità elastiche del muscolo, dal momento che è accertato che una ripetizione sistematica di esercitazioni con carichi massimi (soprattutto isometrici) riducono le possibilità elastiche del muscolo stesso. La risposta non può che venire dallo studio delle caratteristiche della specialità sportiva oggetto dell'allenamento. Nei lanciatori in atletica leggera, per esempio, nei quali l'aumento della massa in rapporto all'incremento della forza (forza assoluta quindi) è una condizione inderogabile per il raggiungimento di elevati risultati, si opererà prevalentemente per settori e in tempi diversi: si aumenterà prima la forza assoluta e in un secondo tempo l'elasticità dei gruppi muscolari che dovranno dare il carattere esplosivo al gesto tecnico. Per i saltatori, invece, come per molte altre discipline sportive, in cui il carattere elastico dei gruppi muscolari interessati al gesto (arti inferiori) gioca un ruolo tanto determinante quanto l'incremento della forza relativa, si giustifica una metodica di allenamento che prevede il miglioramento delle caratteristiche muscolari citate (forza ed elasticità) in maniera sincrona. Si rende, inoltre, opportuno operare attraverso esercitazioni a carattere specifico: l'angolo dell'articolazione, l'arto di spinta, l'entità e il tempo del caricamento (lavoro negativo) e della fase di restituzione elastica (lavoro posi- tivo) dovranno essere il più possibile simili a quanto si verifica nell'azione specifica di gara. Inoltre, parallelamente alle esercitazioni pliometriche tipo, se ne effettueranno altre con caratteristiche meccaniche simili all'azione tecnica di gara.

Ma come deve essere un corretto allenamento pliometrico?

Abbiamo visto che il lavoro pliometrico deve estrinsecarsi in esercitazioni che tendano a un ottimale e contemporaneo incremento delle capacità di forza e di elasticità. A tale scopo è necessario: - effettuare esercitazioni specifiche che imitino la parte fondamentale dell'azione che si vuole migliorare; - ricercare subito dopo le esercitazioni un rilassamento della muscolatura impegnata, evitando di sottoporla a condizioni di gravità (per gli arti inferiori, per esempio, è opportuno sdraiarsi oppure sedersi con gli arti rilassati e appoggiati in alto); - eseguire 5-7 ripetizioni successive con un recupero di 10-15 minuti tra le serie, con azioni tendenti a eliminare qualsiasi residuo di tensione della muscolatura; il numero delle serie sarà determinato dalle possibilità dell'atleta di mantenere elevate capacità di risposta (quindi capacità di lavoro positivo) nella fase di restituzione della forza elastica precedentemente immagazzinata nel lavoro negativo; - mantenere la muscolatura decontratta prima dell'esecuzione con il particolare accorgimento di contrarla al massimo nell'attimo prima dell'urto (reattività) per l'efficace assorbimento dell'energia cinetica. Le esercitazioni tipo per gli arti inferiori sono costituite dai salti in basso da un'altezza ottimale e rimbalzo in elevazione verticale.

La condizione per una azione elastica dell'esercizio è data da:

    - caduta, a muscolatura rilassata, sugli avampiedi; - fissazione delle articolazioni della caviglia, del ginocchio e delle anche nella parte culminante della fase dell'urto elastico sul terreno; - rimbalzo immediato e ricerca della massima altezza di salto.

    Per altezza ottimale di caduta si intende l'altezza dalla quale viene raggiunto il salto successivo più elevato. Tale altezza si determina per tentativi, aumentandola di 10 cm alla volta fino a raggiungere quella che determinerà il successivo maggior balzo verticale. Ovviamente, più l'atleta sarà forte più necessiterà di altezze ottimali di caduta elevate, in quanto indici di forza elevati richiedono maggiore energia per distendere le masse muscolari impegnate; saltatori in alto di ottima qualificazione cadono da 80-100 cm con un successivo rimbalzo verticale di altrettanti centimetri.

Questo esercizio può essere anche effettuato con l'impiego di un solo arto; anzi è questa una metodica che viene inserita, normalmente, nel piano di allenamento per lo sviluppo della forza esplosiva (dell'arto di stacco) del saltatore in alto. Le condizioni per la creazione di un'azione elastica sono le stesse degli esercizi precedenti, così come è identica la ricerca dell'altezza ottimale di caduta. L'appoggio elastico dell'arto di stacco deve avvenire a 2,10-2,50 m dal punto di partenza, cioè dall'ultimo appoggio nella zona sopraelevata. I balzi sui gradini in discesa schematizzano chiaramente l'analogia tra una palla che rimbalza e una esercitazione pliometrica. Questi esercizi e, per analogia, quelli rappresentati dai balzi sugli ostacoli a piedi pari uniti, con passo e stacco, successivi e alternati su un arto, vengono spesso usati dai saltatori in atletica leggera e da atleti di discipline sportive di squadra, per esempio la pallavolo, che necessitano, almeno in parte, di un lavoro analogo.

Gli errori più comuni nell’allenamento pliometrico

In qualsiasi esercitazione pliometrica se l'altezza (o lunghezza) raggiunta non sarà massima, o comunque crescente, ciò sarà dovuto principalmente: - a una scarsa coordinazione esecutiva; - a insufficiente stiramento delle potenzialità elastiche causato da un'altezza di caduta non elevata; - a un eccessivo stiramento dovuto a un'altezza di caduta troppo elevata (quindi non rapportata alle capacità di forza del soggetto), in tal caso la tensione diminuisce, probabilmente per la parziale influenza inibitrice dei corpuscoli tendinei del Golgi che proteggono il muscolo da eccessivi carichi di stiramento.

Nelle esercitazioni pliometriche l'attivazione del S.N.C. è elevatissima. Tale sistema interviene progressivamente a inibire le capacità di risposta elastica del muscolo quando l'esercitazione prevede un impegno non proporzionale alle effettive potenzialità di risposta.

Nel ciclo annuale di allenamento le esercitazioni pliometriche vanno inserite nella seconda metà del periodo di preparazione.

Nel periodo di gara esse servono al mantenimento della condizione di allenamento speciale: in questo periodo devono essere effettuate, di regola, una volta ogni 10-15 giorni.
Osservando comunque delle precauzioni esecutive: - la ricerca dell'altezza ottimale di caduta deve avere uno sviluppo graduale e deve iniziare da una altezza minima; - inizialmente si dovrebbero effettuare salti in direzione avanti-alto e in seguito, dopo una sufficiente preparazione, quelli in direzione verticale; - l'esercitazione pliometrica deve essere preceduta da un buon riscaldamento, per evitare danni ai muscoli, ai tendini e alle articolazioni; - è opportuno usare la massima prudenza con atleti in fase evolutiva e in genere con tutti coloro che non hanno raggiunto un soddisfacente livello di forza massimale; - con i principianti, che ancora non padroneggiano le esatte caratteristiche tecniche della specialità praticata, le esercitazioni pliometriche specifiche risultano pericolose e controproducenti.

L'efficacia di ogni esercitazione di forza esplosiva dipende prevalentemente dalla capacità di mantenere elevate le possibilità di risposta veloce successiva all'urto elastico (lavoro negativo) e dall'eccitazione ottimale del S.N.C. , dovrà essere pertanto evitata qualsiasi evidente manifestazione di affaticamento, in caso contrario si determinerà inevitabilmente un rallentamento dell'azione esecutiva dell'esercitazione.

sabato 15 agosto 2009

BAMBINI ED EDUCAZIONE SPORTIVA

Tratto da http://atpiombinese.myblog.it


Titolo originale: A PROPOSITO DI... EDUCAZIONE ALLO SPORT


AUTORE: Roberto Catalucci


Gli elementi fondamentali di cui i dirigenti sportivi , gli insegnanti e i genitori devono tener conto al fine di favorire una pratica sportiva educativa, si possono, sintetizzare nei seguenti: in primo luogo una società sportiva che sia fucina di valori importanti, che veicoli la trasmissione dei principi formativi dello sport. In secondo luogo che si disponga di insegnanti che abbiano chiara oltre che la visione sportiva della disciplina proposta, legata all’essere degli “esperti” della stessa, cioè soggetti che “sappiano”, che “sappiano fare” e che “sappiano far fare”, anche e soprattutto la “responsabilità” pedagogica, cioè l’essere empaticamente abili a dare risposte alle mutevoli richieste provenienti da un universo adolescenziale, caratterizzato sempre più da una variegata complessità. In fine, come ulteriore elemento, un’attività che si sviluppi con perseveranza seguendo un preciso progetto educativo:perseveranza significa anche condivisione costante, per quanto possibile, di un’unica figura didattica, in quanto indispensabile presenza durante tutto l’anno, sia in fase di addestramento che nell’ambito, sopratutto, dello svolgimento delle gare, se vuole essere il riferimento preciso e competente di cui i suoi allievi abbisognano. Questi non sono elementi che si percepiscono comunemente, ma sono caratteristiche di quegli ambiti nel quale operano professionisti attenti a dimensioni che oltrepassano il mero risultato, analizzando altresì la prestazione ad esso correlata. Lo sport, pensato per i bambini non deve esclusivamente e necessariamente addentrarsi nelle logiche del “campionismo”. Il dirigente e l’insegnante, altrimenti, si rendono complici nel rappresentare il primo anello della selezione sportiva, una realtà che sta pervadendo la cultura contemporanea afferente allo sport, e che rappresenta la causa principale della disaffezione per la pratica ludico-agonistica con conseguente abbandono precoce della stessa, depauperandola della indubbia valenza formativa e sociale.

Per conseguire tale finalità risulta importante non demonizzare la sconfitta, (enfatizzando solo la vittoria) sottolineandone altresì il suo valore e la sua utilità, perché essa può essere di aiuto al miglioramento del proprio gioco, può essere un elemento importante per la ricerca di soluzioni alternative, “soltanto conoscendo le cose che non vanno, riflettendoci e ponendovi rimedio si può crescere”. Gli insegnanti devono stimolare i loro allievi a profondere il massimo impegno nelle attività intraprese, devono educarli ad amare il gioco, la prestazione, prima che il risultato, solo chi antepone il piacere dell’azione sportiva ben congegnata, al di là del risultato momentaneamente non positivo, proseguirà in seguito la pratica sportiva. Il più delle volte abbandona precocemente, chi ha ottenuto buoni risultati in tenera età, ma non li ha saputi procrastinare negli anni della piena maturità sportiva, quando cioè non trova più una stretta correlazione tra lo sproporzionato impegno profuso, e la sopraggiunta carenza di risultati, inseguendo la logica del profitto immediato a scapito di una visione prospettica del problema legata ad un apprendimento olistico, ossequioso cioè del rispetto delle radici emotiva, coordinativa e tecnico-tattico-strategica relative ad una corretta proposta didattica. Se l’investimento sportivo verte esclusivamente sul conseguimento dei risultati, quando questi ultimi vengono meno, si perderà anche la spinta propulsiva a proseguire. Se, invece, si ama lo sport per quello che rappresenta, cioè la soddisfazione di praticarlo in modo sempre più consapevole, da leader di se stesso e non da follower, cioè in forma pro-attiva anziché reattiva, come esperienza di crescita da condividere con gli altri, più alte saranno le probabilità di una pratica duratura e di successo, perché si attiveranno gli imprescindibili cicli virtuosi dell’emozione: apprendimento-divertimento e pratica- successo.

I BAMBINI E L'AUTONOMIA

Tratto da http://atpiombinese.myblog.it


Titolo originale: A PROPOSITO DI AUTONOMIA


AUTORE: Roberto Catalucci


I genitori non devono pensare di vivere una seconda vita attraverso i loro figli. Pochi bambini diventano grandi campioni, ma tutti devono essere grandi uomini …


Vi è la ferma convinzione che l’autonomia risulti essere un aspetto fondamentale ed imprescindibile per la costruzione della sfera intellettiva del bambino. Questa riflessione, nasce dall’esigenza assolutamente rilevabile, nell’ambito del nostro vissuto sportivo quotidiano, di fornire una chiave di lettura alternativa al modo di procedere di molti genitori ed insegnanti di tennis, che intravedono nei loro ragazzi degli strumenti indispensabili al fine di placare le loro recondite frustrazioni e realizzare le loro ambizioni represse, tenendo comportamenti alquanto discutibili e riversando sui malcapitati un fardello di responsabilità talmente oneroso da sopportare, che il più delle volte provoca un senso di disaffezione al nostro meraviglioso sport se non addirittura l’abbandono precoce dello stesso. Non dobbiamo dimenticare che per un bambino una partita, non è mai “soltanto un gioco” un puro divertimento, od un modo per distrarsi da preoccupazioni più gravi. Per un bambino giocare una partita può essere, ed il più delle volte è, un’impresa molto seria dal cui esito dipende la sua autostima ed il suo senso di competenza. In altre parole, il gioco è la sua realtà; questo estende il significato di una partita ben oltre i limiti che può avere per un adulto. Perdere la partita non fa dunque parte del gioco, come è, o dovrebbe essere, per l’adulto; è un’esperienza che mette in dubbio, ed a volte mina, il senso di competenza personale del bambino. Ben lungi dall’essere parte del gioco, la sconfitta non è solo un affronto, è qualcosa che, mettendo in discussione la sua dignità e dunque la sua integrità personale, mette in difficoltà i suoi stessi equilibri; e questo va impedito a qualunque costo. Poiché gli fa temere di perdere davanti agli adulti la sua dignità, una serie di sconfitte può davvero disgregare tutta la padronanza di se, al punto che improvvisamente il piccolo giocatore non riesce più a distinguere tra la realtà del gioco e la realtà della sua vita. Ecco perché lo stesso bambino, che dimostra di conoscere le regole del gioco e bada a che anche l’avversario le rispetti, finchè ha la speranza di vincere, ad un certo punto, quando pensa di stare perdendo, si mette a bella posta a trasgredirle. E’ un comportamento che sovente lascia sconcertati i genitori ed i maestri: se sa giocare così bene quando vince, come mai gioca scorrettamente quando perde? Per l’adulto si tratta dell’identica situazione, e comunque sempre di un gioco; per il bambino, di due realtà molto diverse. Quando vince, si esalta oltre ogni ragionevolezza, considerato che si tratta “solo di un gioco”. Quando perde, si sente umiliato e reagisce di conseguenza: la sua maturità si incrina, esattamente come succede a molti adulti quando hanno la sensazione di essere umiliati. In questo scenario che ruolo devono assumere i genitori ed i maestri in ascolto empatico dei loro ragazzi? Dal loro atteggiamento deve scaturire amore e fiducia nei loro confronti, devono far capire loro che non si è grandi quando non si cade mai, ma quando si cade e troviamo in noi la forza di rialzarci. Devono far capir loro che la vita sportiva e non, è costellata di problemi, proporzionati alle capacità di ognuno e che il problema, ed il superamento dello stesso li renderà più felici e sicuri di se. I genitori ed i maestri non si devono sostituire ai loro ragazzi nella risoluzione dei problemi, ma devono far si con la loro presenza di creare le condizioni cognitive affinché il ragazzo stimoli le proprie capacità di autorisoluzione del problema, diventi un leader di se stesso e non un follower. Se diventiamo assolutamente indispensabili a qualcuno, vuol dire che ci stiamo allontanando da ciò che può essere definito un sano aiuto. Aiutare vuol dire sostenere, non sostituire. Quando il bambino affronta difficoltà necessarie alla sua crescita, non dobbiamo intrometterci cercando di alleviare la pena caricandoci eroicamente dei suoi pesi. Non dobbiamo giocare a fare Dio nella vita degli allievi che aiutiamo: non saremo mai all’altezza del ruolo. Troppo spesso decidiamo che questo o quello non deve accadere e di conseguenza facciamo di tutto per risolvere i problemi altrui con le nostre forze: l’effetto sui ragazzi di tale atteggiamento è l’indebolimento e la sempre maggiore dipendenza da noi. Vi è ferma convinzione nell’affermare che questo tipo di aiuto è egoistico e tende a farci sentire importanti per quelle persone che guardano a noi, confusi, davanti alle difficoltà del nostro sport. Quando aiutiamo in questo modo, per chi lo facciamo? Le lezioni di vita più importanti si imparano nella sofferenza. Chi aiuta “sa” dire no! Sa tirarsi indietro quando l’altro deve provare a sbagliare. Sa poi essere pronto ad aiutarlo a rialzarsi ed infondergli fiducia per buttarsi nuovamente nell’esperienza. Chi aiuta guarda al potenziale dell’altro e lo spinge al di la dei suoi limiti, anche se questo diventa scomodo ed irritante. Chi aiuta sa rinunciare all’approvazione a favore della crescita dell’altro. Chi aiuta deve credere che l’altro ce la può fare e deve lottare perché ce la faccia da solo!

INSEGNARE AD AMARE IL TENNIS

Tratto da http://atpiombinese.myblog.it


Titolo originale: A PROPOSITO DI EMPATIA


AUTORE: Roberto Catalucci


Per molti anni, nel nostro ambiente, si è erroneamente pensato, che la disciplina sportiva del tennis si potesse insegnare attraverso una esclusiva trattazione della tecnica, e che gli altri aspetti, emotivo, tattico- strategico e coordinativo fossero di marginale importanza. Oggi sosteniamo che tutti gli elementi sopra menzionati debbano essere affrontati dal maestro di tennis in modo strettamente correlato ed interdipendente tra loro, al fine di favorire la crescita equilibrata dell’uomo-atleta-tennista.

Nella visione didattica moderna del maestro di tennis, a nostro modo di vedere, l’aspetto emotivo deve assolutamente precedere gli altri come importanza, in quanto basilare al fine di raggiungere, nei ragazzi, un buon livello di gradevolezza ed accettazione dello sport in genere e, per quanto ci riguarda, del tennis in particolare. Troppo spesso i maestri trascurano erroneamente questo concetto, pensando che le persone con cui interagiscono non siano in contatto con il loro vissuto emozionale, gettando inconsapevolmente le basi per il rifiuto dello sport, con conseguente abbandono precoce dell’attività. A tal proposito, interessante risulta rilevare come l’emozione sia argomento centrale nel dibattito intellettuale contemporaneo, indipendentemente dal fatto che a parlarne siano personaggi religiosi o laici.

Il Pontefice Giovanni Paolo 2° in una sua recente enciclica ha mirabilmente sintetizzato in questa frase quanto sopra esposto:”Non c’è apprendimento se non c’è amore”.

Pine e Gillmore due noti economisti esperti in relazioni umane, in un loro libro dal titolo “Economy Experience” definiscono con il termine economia dell’esperienza, l’economia che fonda il successo di un’azienda sulla qualità delle percezioni emotive indotte nei consumatori e nel pubblico, ovvero i potenziali clienti. Prodotti e servizi possono essere quindi concepiti come “Contenitori di esperienze ricche di significato emozionale”.

Daniel Goleman, eminente studioso nell’ambito della socio-psicologia relazionale, nel suo libro”Intelligenza Emotiva”, sostiene che le emozioni e le sensazioni devono integrare in maniera assolutamente speciale l’intelligenza razionale di cui è impregnata la società contemporanea trasformandola in intelligenza emotiva. Come facilmente si evince, il maestro di tennis, non può sottrarsi dall’essere protagonista di questo nuovo modo di “ascoltare” la professione, dovendo egli svolgere un compito molto delicato a stretto contatto con i protagonisti più fragili ed emotivamente vulnerabili della sua professione: i bambini.

Tale radice emotiva, trova il suo significato più profondo nel concetto di empatia (dal greco en-phatos, sentire dentro). L’empatia è la capacità di mettersi nei panni delle persone, indipendentemente dal fatto che ci stiano simpatiche o meno, per comprendere meglio le loro emozioni, e trovare la risposta più appropriata ai loro desiderata. L’empatia è, in definitiva, l’arte di andare in scena nella quotidianità ed interpretare con stile il proprio ruolo personale e professionale, entrando in contatto con le persone. Quindi nasce dalla propria interiorità, pur avvalendosi di alcune tecniche, non è una tecnica bensì un intenzione. Come per un attore, per il quale la dizione, la postura e la respirazione sono tecniche fondamentali per recitare ma non possono sostituire il suo pathos. E’ la differenza tra saper recitare(impadronirsi di buone tecniche) e saper interpretare (aggiungere l’anima). Le tecniche di comunicazione interpersonale (potremmo definirli i contenitori dell’energia) sono solo strumenti efficaci e perfezionabili, ma non trasmettono il pathos. E’l’intenzione con cui vengono utilizzati che fa la differenza. E’ così che esprimiamo il nostro talento relazionale. Il maestro empatico sa che per quante competenze tecniche possa adottare nel contatto con i bambini, è solo la sua intima intenzione autentica e personale di immedesimarsi in loro e di servirli nel senso più nobile del termine, che farà di lui una persona che ispira fiducia. Il maestro di tennis, praticamente, deve sviluppare questo approccio empatico nei confronti dei bambini sin dagli inizi dell’esperienza didattica. Tale corretto approccio prevede di curare in modo attento l’accoglienza emotiva in campo dei suoi piccoli allievi, soddisfacendo quel senso di autostima immediato che si prova quando qualcuno ci gratifica con piccoli segnali di apprezzamento. Da questi piccoli accorgimenti il bambino ricava la sensazione di essere nel posto giusto, trovandosi immediatamente a suo agio. Ci piace paragonare il maestro empatico ad un pescatore desideroso di fare buona pesca. Se il pescatore arma il suo amo con il genere di cibo che piace a lui, è probabile che di pesci non ne prenda neanche uno. Perciò egli si serve, come esca, del cibo che piace al pesce. Con i bambini è la stessa cosa. Se cercheremo di far loro una predica su ciò che noi consideriamo edificante, non li prenderemo mai. L’unico sistema è quello di presentarsi a loro con qualcosa che veramente li emozioni e li interessi. Il maestro empatico deve conoscere le tecniche per condurre un gruppo, come il pescatore deve sapere che esca mettere per quel pesce, il pescatore deve anche sapere come proporre l’esca al pesce, così il maestro deve conoscere l’arte per proporre l’attività scelta in modo che essa venga accettata e porti i frutti che si erano preventivati. Il maestro deve essere brillante cioè spiccare tra gli altri, perché originale, geniale. Non può essere un “anonimo mediocre”. Deve essere capace di cogliere le battute al volo per girarle a suo uso, deve avere il coraggio di modificare un programma, deve aver la temerarietà di lanciarsi a fare cose stravaganti ma intelligenti, deve possedere una fantasia aperta per scoprire ed inventare nuove attività, deve aver l’umiltà di mettersi in discussione finalizzando il tutto all’obiettivo principale per il quale i bambini devono avvicinarsi ad uno sport: il gioco.

Il maestro di tennis deve gestire al meglio la situazione didattica composta da allievi , atmosfera, maestro, esercizi, creando un’atmosfera accattivante, evidenziando esercizi coinvolgenti che pongano l’allievo al centro dello scenario didattico, innescando in tal modo il circuito virtuoso rappresentato da emozione-ricordo positivo- ritorno.

In definitiva il maestro deve far interessare i bambini alla sua persona, coinvolgerli emotivamente, ascoltandoli in modo attivo, ed apprendere il nostro meraviglioso sport, sarà per loro più semplice di quello che si pensi, deve farli “ammalare” di tennis.

LE RADICI DELL'INSEGNAMENTO DEL TENNIS

Tratto da http://atpiombinese.myblog.it


Titolo originale: NUTRIAMO L'ALBERO... DEL TENNIS


AUTORE: Roberto Catalucci

Per molti anni, si è erroneamente pensato, che la disciplina sportiva del tennis, si potesse insegnare

attraverso una esclusiva trattazione della tecnica, e che gli altri aspetti, emotivo, tattico, strategico

e coordinativo fossero di marginale importanza. Oggi sosteniamo che tutti gli elementi

sopramenzionati, debbano essere affrontati dal maestro di tennis in modo strettamente correlato ed

interdipendente tra loro, al fine di favorire la crescita equilibrata dell’uomo-atleta-tennista. A tal

proposito esemplificativa è la seguente immagine:

(disegno albero)

lo studioso Hubert Schneider (Riva del Garda 1997), ha sapientemente paragonato lo sviluppo di un

giovane o di una giovane tennista, alla crescita di un albero. Se così è allora stiamo bene attenti che

tutti i rami si sviluppino nel migliore dei modi. I rami sono: la tecnica, la condizione fisica,

l’allenamento, la motivazione, l’alimentazione. Non dobbiamo dimenticare però che un albero

diventa bello, può crescere, svilupparsi e sopravvivere anche a periodi burrascosi (per il giovane

tennista può voler dire quando, ad un certo punto, non riporta più successi, quando deve incassare

delle sconfitte, quando non migliora costantemente) se le radici ben costruite nel suo bagaglio

esperienziale sono un insegnamento emotivo, un insegnamento coordinativo ed un insegnamento

tattico-strategico.

Radice emotiva

Tale radice è quella che a nostro avviso deve precedere le altre come importanza, perché basilare

nel raggiungimento di un buon livello di gradevolezza ed accettazione dello sport in genere e del

tennis in particolare,da parte dei ragazzi. Troppo spesso i maestri trascurano erroneamente questo

concetto pensando che le persone con cui interagiscono non siano a contatto con il loro stato

emozionale, gettando inconsapevolmente le basi per il rifiuto dello sport, con conseguente

abbandono precoce dell’attività. Di tale radice ne abbiamo parlato approfonditamente in

precedenza.(n°4 di questa rivista)

Radice coordinativa

Le capacità coordinative sono le premesse dell’apprendimento necessarie per imparare tecniche

nuove, nuovi tipi di sport. Il tennis è uno sport che richiede precisione, elevata rapidità di

movimento e capacità di adattamento in situazioni soggette a continuo cambiamento, quindi da ciò

risulta chiaro come tale disciplina richieda una buona dose di capacità coordinative. Pertanto il

maestro dovrà nel corso del suo insegnamento tenerne conto, proponendo esercitazioni sempre varie

nella forma e nei contenuti al fine di sviluppare un atleta con una visione del gioco a “mappa

motoria elastica”. Per dare una chiave di lettura scientifica, di tipo galileiano, a quanto sostenuto fino ad ora, riportiamo l’autorevole pensiero dello studioso svizzero Arturo Hotz che così recita:”Lo sviluppo delle capacità coordinative sono il presupposto per l’apprendimento delle abilità tecniche, che a loro volta, sviluppano le capacità coordinative”. La generazione passata dei “raccattapalle”, si è coordinata giocando a tennis, in quanto tutto il bagaglio motorio si arricchiva di un patrimonio di esperienze proveniente dai giochi di cortile ed informali, eseguiti negli spazi più disparati e negli orari lasciati liberi dalla scuola. La didattica specifica del tempo, non poteva “emozionare” i ragazzi in quanto incentrata su un insegnamento gestuale analitico espresso sottoforma di lunghe ed interminabili file indiane di bambini, che colpivano durante un ora di gioco un numero esiguo di palle. Si imparava al “muro” o nei rari spezzoni di ore “rubati” ai soci adulti. Oggi il panorama è sostanzialmente mutato, i bambini godono di scarsa “autonomia” da parte dei genitori, visti i problemi che la società moderna presenta quotidianamente (droga, pedofilia, cementificazione selvaggia), trascorrono molto tempo a scuola, hanno molteplici altri impegni, sono attratti dai giochi elettronici che alimentano il loro senso di sedentarietà; pertanto nel praticare il tennis è necessario insegnare in modo artificioso cosa vuol dire la coordinazione, allestendo accanto all’area tecnico-tattica-strategica del maestro di tennis, un’area “attrezzata” in cui il preparatore fisico li educhi al movimento e li prepari ad affrontare una disciplina complessa quale è il tennis. Quindi seppur il minitennis, rispetto alla didattica del passato ha restituito appeal al nostro sport, in quanto ha riconquistato la tipicità dello stesso attraverso l’interattività, emozionando maggiormente i bambini, il maestro deve necessariamente fare i conti con le problematiche affrontate in precedenza trovandosi di fronte alla condicio sine qua non di approntare un tipo di insegnamento coordinativo .Tale sviluppo coordinativo riconosce quale fase sensibile di massimo incremento, l’età che va dai 5 agli 11 anni, periodo durante il quale il bambino è particolarmente ricettivo a nuove forme esperienziali di movimento, superata tale età, egli mantiene ciò che ha acquisito fino ad allora, facendo intravedere, nonostante un lavoro specifico, un minimo incremento del suo bagaglio motorio.

Radice coordinativa in pratica

Insegnamento della coordinazione significa movimenti semplici in condizioni difficili. Realizzare movimenti semplici in condizioni difficili, variabili, combinate, porta i ragazzi all’apprendimento delle relative capacità. Dovremo utilizzare quindi il “principio della variazione”. Variazione significa:cambiare racchetta, cambiare palline, cambiare l’altezza della rete, cambiare gli spazi, le distanze. Nel tennis abbiamo una quantità incredibile di possibilità di variare. Altro principio è quello della “combinazione”, cioè gli schemi fondamentali, ad esempio il diritto (non importa che sia a rimbalzo od al volo) rimangono gli stessi, ma devono essere adattati l’uno all’altro, quindi non si deve eseguire un colpo soltanto, ma più colpi con finalità tattico-strategiche(operazioni),insieme al movimento, cioè alla corsa, insieme a tutte quelle varianti che il gioco contempla. Il tennis inoltre è uno sport di rimando e di organizzazione, dove la palla e l’osservazione della stessa risultano essere elementi fondamentali per potersi muovere in maniera corretta. La capacità di anticipazione motoria, può a pieno titolo essere annoverata nell’ambito della capacità coordinativa di reazione .Tale capacità ci permette di capire dalle informazioni semantiche inviate dal nostro avversario (postura, posizione del piatto corde all’impatto) , il tipo di palla che ci arriverà potendosi muovere con perfetta scelta di tempo. Due concetti didattici che vanno sviluppati al fine di affinare questa dote sono:la sensibilità per la palla, cioè la perfetta intesa che il giocatore,non importa se calciatore o tennista, deve affinare e lo studio della palla inteso come calcolo della traiettoria, della direzione, della complessità, dell’energia di arrivo della stessa.

Radice tattico-strategica

Il mini-tennis, si pone come obiettivo iniziale quello della comprensione del gioco, al fine di attuare embrionali schemi tattico-strategici. Per strategia,si intende la capacità del giocatore di interpretare la gara in funzione delle proprie caratteristiche ed in relazione alle caratteristiche dell’avversario. Si attua attraverso un analisi del match che può avvenire antecedentemente, contestualmente o successivamente alla prestazione sportiva. La tattica sportiva è l’arte di condurre la competizione, usando al meglio i mezzi tecnici, fisici, psicologici ed in funzione della situazione esterna al fine di attuare la strategia e raggiungere il massimo risultato sportivo. Al concetto di strategia è associata la definizione che si dà del tennis quale sport di interpretazione od anche di iniziativa,quindi come finalità si deve conseguire in gara ed in palleggio un atteggiamento di tipo pro-attivo, in antitesi a quello di tipo re-attivo, spieghiamo i concetti:quando invece di re-agire, decidiamo di agire con consapevolezza,vuol dire che scegliamo, gestiamo l’azione di gioco invece di subirla. Allenare il proprio stile pro-attivo vuol dire sviluppare fiducia in se stessi, nelle proprie risorse, per rispondere nel modo più appropriato a qualsiasi stimolo. Re-agire in gara vuol dire identificare la vittoria nella regolarità e nell’attesa dell’errore dell’avversario (scelta passiva). Al concetto di tattica è associata la definizione che si dà del tennis quale sport territoriale, il bambino deve comprendere che nel rapportarsi ad una determinata superficie di gioco, deve svolgere operazioni che tengano conto della presenza di un avversario e delle difficoltà inerenti la palla da gestire. Pertanto bisogna raffinare il triplice colpo d’occhio caratteristica peculiare del tennista:palla-avversario-spazio conveniente.

Il significato della tecnica nel mini-tennis

Lo studioso Platonov definisce la tecnica sportiva in generale, come un insieme di azioni ed operazioni finalizzate a risolvere determinati compiti motori specifici di una disciplina sportiva. La tecnica nello sport, rappresenta lo strumento principe per conseguire gli obiettivi di ordine tattico-strategico dai più semplici ai più complessi. Facciamo un esempio pratico:dall’analisi del match,mi sono reso conto che il mio avversario”soffre” le palle alte sul rovescio(strategia), quindi mentalmente appronto un piano di gioco(tattica) che prevede l’utilizzo di servizi kick e colpi dal basso a rimbalzogiocati in rotazione top-spin che hanno come effetto di destabilizzare il suo punto ideale d’impatto(medio-basso) provocando percentualmente un alto tasso di errori. Il disegno tattico-strategico è perfetto, teoricamente, ma per attuarlo praticamente occorre che io abbia una padronanza tecnica assoluta nell’esecuzione tecnica dei colpi occorrenti all’uopo,altrimenti tale progetto non riesco a realizzarlo e rientro nella categoria dei giocatori teorico-virtuali. Nell’albero della crescita di cui abbiamo trattato, la tecnica rappresenta un ramo nobile, pertanto non è il fine ultimo da perseguire ma uno strumento assolutamente indispensabile, che nel mini-tennis occorre utilizzare per garantire il conseguimento dell’obiettivo primario da raggiungere, vale a dire il gioco. D’altra parte per consentire il raggiungimento di obiettivi tattico-strategici e per garantire il divertimento, è necessario che il maestro proponga un insegnamento tecnico semplice, graduale ma adatto a consentire agli allievi di raggiungere quelle competenze che li pongano in condizioni di successo immediato. Ad esempio giocare delle partite in cui gli allievi devono limitarsi a contare i punti senza essere in grado di eseguire una serie di scambi con regolarità, inficia la possibilità di divertirsi pur rispettando la tipicità del gioco. Pertanto la tecnica nel mini-tennis la affronteremo in questo modo:

fase avviamento(6-7 anni) definita anche del controllo o di acquisizione tecnica,

in questa fase è opportuno proporre l’insegnamento di quelli che possiamo definire i pre-requisiti della tecnica che sono:

1)posizione atletica

2)studio della palla

3)impugnatura

4)azione delle gambe

5)assetto braccio-racchetta

la simbiosi di tali pre-requisiti consente di raggiungere l’obiettivo tecnico-tattico primario del mini-tennis cioè il controllo di palla. Se il maestro riuscirà ad ottenere dai suoi allievi l’acquisizione tecnica del controllo di palla, li metterà in grado di divertirsi perseguendo obiettivi di ordine tattico-strategico.

Fase del pre-perfezionamento(8-10 anni) o fase dello sviluppo tecnico.

In questa fase l’insegnamento tecnico andrà interpretato come l’anello di congiunzione con il modello di prestazione a cui noi maestri dovremo tendere, quindi dovranno essere presenti elementi caratterizzanti dei colpi, attinenti con tale riferimento. Concludendo, il maestro moderno dovrà attuare un insegnamento situazionale a due velocità. Dopo un primo periodo in comune nella fase di avviamento, durante il pre-perfezionamento, i bambini che denotano buone qualità svilupperanno una didattica atta a proiettarli in termini di prospettiva verso un tennis attinente al modello di prestazione manifestato dai più grandi tennisti attuali, nel mondo. I bambini che denotano particolari difficoltà di apprendimento, svilupperanno una tecnica più tradizionale e semplice, mirata ad ogni buon conto al conseguimento dell’obiettivo principale che si pone la pratica di ogni sport intrapreso in fase giovanile: il gioco. Il maestro che non cavalcherà l’onda del cambiamento e della modernità, in ascolto attivo della sua professione, rischierà di esserne sommerso.