lunedì 21 dicembre 2009

FOOTWORK (Video in Inglese)

Da Youtube un video in inglese sul lavoro dei piedi, dove si possono ben notare gli aspetti fondamentali della tecnica corretta: split step, ricerca della palla, passo incrociato di recupero, ecc..




mercoledì 9 dicembre 2009

IL GENITORE: RISORSA "QUASI PERFETTA"

Titololo originale: Il genitore del bambino principiante: una risorsa "quasi perfetta"
Autore: Luciani Mauro (Pedagogista - Università degli Studi di Perugia)
Tratto da: www.tennislab.it

Fra i vari argomenti di pedagogia sportiva che vengono generalmente affrontati, quello del ruolo e dell'influenza dei genitori degli allievi non è mai tenuto in sufficiente considerazione. Eppure il genitore interagisce anche profondamente con l'ambiente sportivo frequentato dal figlio e, in ultima analisi, può favorire o ostacolare significativamente il suo apprendimento o rendimento.
Immaginando la tipica situazione di un genitore che accompagna per la prima volta il figlio ad un corso di tennis, possiamo fare alcune considerazioni. La prima riguarda la motivazione: perché quel bambino inizia a praticare sport? perché proprio il tennis? perché proprio in quel circolo? E ancora: cosa si aspetta? E soprattutto: cosa si aspetta il genitore?
Il genitore, che lo voglia o no, fa sempre un investimento sul figlio in termini di emozioni e aspettative. La possibilità che l'avviamento del bambino al tennis sia soprattutto un'iniziativa del genitore piuttosto che del figlio, è molto forte. Non che questo sia deprecabile: tutt'altro. Bisogna però stare attenti a non trasformare un'iniziativa lecita e facente parte delle funzioni del genitore, in un atteggiamento coatto che non coinvolge per niente l'interesse del figlio. In altri termini, per una serie di circostanze è possibile che il bambino non abbia alcuna esperienza di tennis né giocato né guardato, per cui è il genitore appassionato che gli fa scoprire questo mondo; ma è fondamentale che la scoperta avvenga gradualmente, che si monitorizzi costantemente il reale interesse del bambino, che si intravedano in lui delle potenzialità future in questi termini. Le "vecchie" motivazioni, del tipo "è portato per questo sport", oppure "l'ho fatto io quindi mi aspetto che lo faccia anche mio figlio", o ancora "ho il circolo sotto casa", oggigiorno non reggono più. Che poi il tennis si sia ultimamente un po' "nascosto" e sia meno visibile di altri sport al grande pubblico, questo è un altro discorso.
Una volta inserito il bambino nel corso, il ruolo del genitore si fa meno evidente ma parimenti importante. Non sempre nel tennis è possibile seguire la lezione dei bambini, specie d'inverno e sotto i palloni. Né sarebbe auspicabile una presenza costante e asfissiante dell'adulto. Il bambino deve crescere nella nuova realtà e, per farlo, deve poter interagire liberamente con i compagni e il maestro. E' deleterio però anche l'atteggiamento opposto, quello della completa latitanza del genitore. Occorre pertanto un equilibrio che renda quest'ultimo presente ma con discrezione, interessato ma non asfissiante, informato ma non pressante nelle domande. Soprattutto, deve lasciar fare il proprio lavoro all'insegnante. Come nel calcio, anche nel tennis è facile avere a che fare con genitori fai-da-te che si credono assolutamente esperti di tecnica e metodologia tennistica.
C'è da dire che le possibili ingerenze del genitore non investono quasi mai il maestro in prima persona, ma si rivolgono al bambino, spesso preso da parte e consigliato su questo e quello. Talvolta questo "lavaggio del cervello" avviene lontano dai campi da tennis, magari a casa o sulla strada per il circolo.
Il ruolo del genitore del bambino principiante deve invece essere un altro. Oltre a quanto già accennato, egli può risultare una valida risorsa nei momenti di flessione di interesse del figlio, che vanno gestiti soprattutto al di fuori della lezione e rispetto ai quali l'insegnante non sempre può fare qualcosa. Anche in questo caso il genitore deve ricordarsi sempre di non scivolare mai in atteggiamenti di coazione o, peggio, di ricatto. Come tutte le crescite, anche questa avviene per "strappi" successivi e mai costantemente. Le flessioni sono fisiologiche e, per certi versi, salutari. In alcuni casi sfociano in abbandoni irrecuperabili, ma in molti altri sembrano fornire nuova vitalità che verrà spesa successivamente. E' un rischio che bisogna correre.
Se, come spesso avviene, il genitore è a sua volta giocatore, le sue possibilità di influenzare positivamente il figlio aumentano. Sempre che il suo atteggiamento resti equilibrato. Spendere per esempio qualche ora per giocare insieme, quale che sia la differenza tecnica fra i due, appare come un'occasione importantissima. Sempre ché non si voglia sottoporre il bambino ad un supplemento di lezione, ad un allenamento in più! Al contrario, la partitella fra genitore e figlio dovrà fornire l'occasione a entrambi di comunicare in modo diverso fra loro, di creare e alimentare una complicità, di ingrandire quel serbatoio di interessi in comune che avrà importanza per cose anche molto più grandi del tennis. In termini tecnici, il genitore deve in questa occasione realmente giocare col figlio, senza impartire alcun consiglio tecnico o tattico, senza mortificarlo in alcun modo e semmai sottolineando gli eventuali miglioramenti.
Un ultima notazione pedagogico-tecnica può riguardare i primi tornei, magari quelli di fine corso, del bambino. E' probabile che in questa occasione il genitore sia assiduamente presente. Magari non lo dà a vedere, ma è fortemente interessato al risultato del figlio. Bene, ricordarsi di agire sempre con equilibrio e positività. Non enfatizzare il risultato positivo, non condannare nemmeno quello negativo. Spesso si dice che l'importante è giocare bene, al meglio delle possibilità e che il risultato a questo livello non conta. E' vero, ma non del tutto. È importante aver espresso in torneo le proprie possibilità, ma non sempre questo riesce! Se il giocatore, che per di più è un bambino alle prime armi, gioca peggio di come potrebbe, è inutile fargli mille discorsi, sia di segno positivo che negativo. Indipendentemente da come il bambino stesso l'ha presa, il genitore deve cercare di distogliere rapidamente la sua attenzione dal fatto.
E' in questo senso che il genitore è una risorsa "quasi perfetta" per il figlio: come in tutte le altre occasioni educative, è facile sbagliare atteggiamento ma è possibile anche migliorarsi. Le variabili in gioco sono tanti e tali che quel "quasi" è d'obbligo. In fondo è questo il torneo che deve giocare il genitore: anche lui è chiamato a dare il meglio di sé.

TENNIS E GIOVANI: METODO SCHMIDT

Titolo originale: TEORIA DELLO SCHEMA DI SCHMIDT E TENNIS GIOVANILE
Tratto da: www.tennislab.it

Dall’ intervista a Claudio Robazza emergono importanti principi di riferimento metodologico-didattici per una corretta e funzionale strutturazione dell’attività giovanile nel tennis.

Le esperienze da atleta di alto livello (rugby), da insegnante di educazione fisica, da psicologo responsabile della preparazione mentale di atleti di vertice di numerose discipline (atletica leggera, karate, rugby, tiro a segno, tiro con l’arco, golf, pentathlon moderno), nella cui veste ha preso parte alle ultime due Olimpiadi, probabilmente hanno contribuito a dare a Claudio Robazza la capacità di riportare efficacemente e con naturalezza le acquisizioni teoriche e metodologiche maturate con la ricerca sul piano pratico e operativo.
Partendo da un evoluto e moderno modello dell’apprendimento motorio, la teoria dello schema di Richard Schmidt, proviamo a individuare dei principi metodologici funzionali alla corretta strutturazione dell’attività giovanile ed evoluzione dei giovani tennisti.

Tennislab: Vuoi illustrarci la teoria dello schema di Schmidt e quali indicazioni possiamo trarne riguardo l’ apprendimento motorio e la metodologia di insegnamento del tennis?
Robazza: La teoria dello schema di Schmidt è un approccio di tipo teorico al controllo e all’apprendimento motorio. Fondamentalmente si basa sulla concezione del programma motorio generalizzato che risolve alcuni problemi di memorizzazione delle informazioni.
Precedentemente a questa teoria si pensava che i movimenti fossero tutti controllati da programmi motori distinti. Ma in tal caso qualsiasi gesto diverrebbe troppo difficile e poco economico dal punto di vista del funzionamento dei meccanismi nervosi centrali e dei processi di memorizzazione, perché dovremmo memorizzare e recuperare una quantità enorme di informazioni per eseguire anche i più semplici movimenti.
Per risolvere il problema della quantità di informazioni da memorizzare è stato proposto da Richard Schmidt il concetto di programma motorio generalizzato per lo svolgimento di una classe di azioni simili.
Ad esempio, per camminare a velocità diverse recuperiamo dai nostri sistemi di memoria il programma motorio della locomozione che poi può essere “parametrizzato” per essere adattato alle diverse velocità esecutive: Il programma motorio della locomozione viene così modificato per rispondere ad una molteplicità di situazioni. Questo concettualmente è molto importante.
Un programma motorio ha caratteristiche che lo contraddistinguono, quindi la marcia differirà dalla corsa o dai balzi per i segmenti corporei coinvolti, per la sequenza delle contrazioni e decontrazioni muscolari, per il tempo esecutivo, per la scansione temporale dei movimenti. Qualsiasi movimento complesso o gesto tecnico automatizzato rappresenta una classe di azioni utilizzabili in varie circostanze.
I parametri di velocità, forza, direzione, ampiezza da applicare al programma, affinché sia adattato alle esigenze, sono definiti dallo “schema di richiamo”, anche questo contenuto in memoria. Pertanto, se devo spostarmi per una certa distanza per prendere un oggetto, seleziono dalla memoria a lungo termine il programma della locomozione e quindi lo adatto alla situazione, attraverso lo schema, per muovermi più o meno velocemente.
Applicando questi concetti all’apprendimento sportivo assume enorme importanza il principio della variabilità poiché dovendo adattare il programma ad una classe di azioni devo cercare di far sperimentare all’atleta parametri d’azione diversi per velocità, direzione, forza, ecc.
La variabilità nei parametri esecutivi del programma motorio è soprattutto importante negli sport di situazione, dove una qualsiasi azione è diversa dalle altre.
Nel tennis può fare in parte eccezione il servizio, dove il movimento tende a corrispondere ad un modello ideale prestabilito, ma nel momento dello scambio non esiste più un’azione esattamente uguale all’altra, poiché mutano velocità e ritmo esecutivo. Il programma che controlla l’esecuzione tecnica durante gli scambi deve essere adattato costantemente alla situazione. In allenamento, quindi, va ricercata un’ampia variabilità di esecuzione delle tecniche esecutive.
Inoltre, tanto più i soggetti sono giovani e tanto più bisogna variare, accanto ai parametri esecutivi, anche i programmi motori (le tecniche sportive) attraverso un’ampia gamma di esperienze per fornire una base ampia su cui fondare l’apprendimento tecnico specifico.
Dal punto di vista didattico, pertanto, con i giovani va ricercata un’ampia quantità di esperienze variate (modifiche di programmi e di parametri), mentre al progredire dell’esperienza e della specializzazione si dovrebbe insistere prevalentemente sulla variazione dei programmi specifici.

Tennislab: Quindi ritieni che l’insegnamento di uno sport complesso e altamente tecnico come il tennis debba necessariamente passare attraverso una alfabetizzazione della motricità e lasciare, inizialmente, quasi in secondo piano gli aspetti meramente tecnici della disciplina?
Robazza: Si. Con i giovani bisogna tenere in considerazione le fasi sensibili dello sviluppo, perché vi sono dei periodi durante i quali lo sviluppo di determinate capacità motorie ha il massimo di possibilità di successo.
La fascia sensibile di sviluppo delle capacità coordinative va dai 6 anni ai 10-11 anni circa. Questo non vuol dire che dopo non si possano più ottenere miglioramenti, però se lavoriamo bene in questo periodo d’età, facendo fare esperienze motorie variate, sollecitando tutte le capacità coordinative, aumenta la possibilità di conseguire risultati ottimali.
Il lavoro sulle capacità coordinative nei giovani tennisti va effettuato ad ampio raggio lavorando, in particolare, su quelle particolarmente richieste dalla disciplina quali la reazione motoria complessa, la trasformazione e l’adattamento dei movimenti, l’orientamento spazio temporale, la differenziazione cinestesica, l’equilibrio statico e dinamico, la combinazione motoria. Va anche considerata la rapidità, che pur essendo classificata da alcuni autori come capacità condizionale ha una fase sensibile di sviluppo che corrisponde a quella delle capacità coordinative. Nel lavoro coordinativo e tecnico, quindi, vanno effettuati movimenti con elevata rapidità esecutiva.
Accanto alle capacità coordinative vanno considerati gli aspetti cognitivi, considerata la loro importanza nel tennis. Peraltro, le capacità cognitive hanno una fase sensibile di sviluppo che tende a coincidere con quella delle capacità coordinative. Questo rivela la stretta connessione fra capacità coordinative e cognitive.
Per capacità cognitive si intendono i processi di elaborazione delle informazioni costituiti dalla presa delle informazioni, dall’orientamento dell’attenzione sulle informazioni rilevanti anche ampliando o restringendo il focus attentivo, dalla memorizzazione efficace delle informazioni e dal recupero delle informazioni memorizzate, dai processi decisionali di anticipazione dell’azione e di scelta e parametrizzazione del programma motorio corretto.
Tutti questi processi cognitivi vanno allenati con delle attività variate, facendo riferimento ai criteri che dicevamo prima. Le esercitazioni possono comprendere variazioni di spazi esecutivi, richieste motorie, velocità e tempi. Ad esempio, dopo una prima fase di acquisizione tecnica possono risultare efficaci movimenti a diversa velocità o sotto costrizione temporale.

Tennislab: Quindi la tecnica assume una importanza subordinata allo sviluppo dei prerequisiti motori. Condivido questo modo di vedere che contrariamente a quanto può sembrare valorizza l’apprendimento della tecnica specifica, facendone il fine della pratica tennistica e non solo il mezzo.
Ritengo che spesso si sia danneggiato il potenziale degli individui con una precoce specializzazione tecnica. Cosa pensi che si potrebbe fare riguardo alle competizioni giovanili?
Robazza: La specializzazione precoce è un problema che coinvolge gli allenatori, i tecnici, i genitori, i dirigenti e tutto l’ambiente sportivo.
E’ necessario far capire a queste persone, che rivestono ruoli importanti, che un lavoro tecnico ripetitivo e specializzante, pur consentendo di ottenere risultati precoci, è pericoloso e tende a compromettere l’evoluzione dei ragazzi.
Lavorando sulle abilità motorie coordinative, cognitive o mentali non si danneggia la tecnica, in realtà si creano i presupposti per potervi lavorare meglio, ma i risultati non è detto che debbano venire subito, perché avremo degli effetti motori e funzionali a lungo termine. Va anche considerato l’influsso deleterio che la monotonia di una specializzazione precoce determina sotto il profilo motivazionale. I danni psicologici derivanti dall’ipertecnicismo potrebbero essere irreparabili e condurre all’abbandono.
Pertanto è sicuramente preferibile un approccio che trascuri momentaneamente la specializzazione, per recuperare tutto ciò che è collegato agli aspetti motori coordinativi e cognitivi, posticipando il lavoro specialistico, consapevoli di poter ottenere in seguito risultati migliori.
Tennislab: A volte però risulta difficile prospettare risultati a lungo termine, perché maestri, genitori, dirigenti, li vorrebbero a breve, malgrado la statistica dei risultati in Italia confermi quanto stai dicendo, infatti i vincitori della Lambertenghi solitamente non hanno ottenuto risultati di prestigio in età adulta. Addirittura in Svezia, dove si formano giocatori oltre che forti anche precoci, non si disputano tornei nazionali under 12.
Sono convinto che il tuo discorso debba essere approfondito per portare delle innovazioni sostanziali nell’impostazione delle gare giovanili.

Robazza: Si, ma questo deve passare attraverso una revisione proprio delle richieste motorie o competitive che vengono fatte ai ragazzi.
Richiede un processo a lungo termine che si sviluppi nel corso del tempo e che cambi proprio la filosofia dei campionati giovanili.
Nel frattempo però i tecnici non devono rassegnarsi e scaricare le proprie responsabilità, ma seguire dei criteri e dei principi scientifici nell’attività con i ragazzi, fare loro richieste coerenti con le finalità a lungo termine e riporre aspettative commisurate all’età.
Questa mentalità va trasmessa anche a genitori e dirigenti che spesso vogliono i risultati subito.
I tecnici hanno il compito di divulgare questi principi con estrema chiarezza.
Tennislab: Secondo te verso che età il tennis dei bambini può cominciare ad avvicinarsi a quello degli adulti?
Robazza: Solo dopo un lavoro intensivo sulle capacità coordinative può iniziare la specializzazione sportiva.
Questo non vuol dire che i ragazzini non debbano fare tennis, è chiaro che devono farlo se vengono per giocare a tennis.
E’ il modo in cui l’attività sportiva viene proposta che deve essere rivisto. In qualsiasi sport, tennis compreso, vanno proposte delle esperienze motorie variate attraverso il gioco ed altre attività ludiche. Verso i 12-13 anni ci sarà una percentuale di esercizi specifici sempre maggiore, fino ad arrivare, in funzione dell’evoluzione del ragazzo e delle sue capacità, a una progressiva specializzazione. Introducendo la specializzazione a tempo debito i risultati migliorano e c’è una maggiore longevità nella carriera sportiva.

SANCHEZ E LA SCUOLA SPAGNOLA

Titolo originale: LE RADICI DEL SUCCESSO SPAGNOLO
Intervista a cura di Francesco Di Lisa
Tratto da: www.tennislab.it

L’intervista a Emilio Sanchez, uno dei maggiori artefici dell’affermazione del modello spagnolo, analizza a 360 gradi le principali componenti del successo iberico nel tennis.
Emilio, dando un esempio di classe, prima ancora che di profonda capacità di analisi, non manca di evidenziare l’importanza di aspetti di carattere sociale e culturale in cui la formazione motoria dei bambini avviene in buona misura attraverso il gioco spontaneo.
La formazione tennistica trova nella competizione un elemento determinante, su cui si inserisce produttivamente il loro modello tecnico-tattico e strategico.


Emilio Sanchez ha rappresentato da atleta un esempio determinante per la promozione e la diffusione del tennis in Spagna e un riferimento per i suoi connazionali, sul cui modello hanno costruito i propri successi.
Da tecnico, la sua Accademia costituisce un funzionale centro di avanguardia capace di dare un ulteriore impulso e contributo al metodo spagnolo, sulla cui affermazione riteniamo possa essere pertanto considerato sicuramente uno dei maggiori artefici.
Nell’analisi dei rilevanti risultati spagnoli Emilio non prescinde da aspetti di carattere sociale e culturale, dimostrando sensibilità verso l’evoluzione della metodologia e dell’attività infantile e giovanile.
L’attribuzione dei successi maturati nel tennis di vertice, non solo al loro modello di gioco e di allenamento, che pur risulta essere profondamente caratterizzante e determinante, è sicuramente indice, oltre che di ammirevole modestia, di profondità di giudizio e di lungimiranza, che rendono auspicabile prendere come modello anche il tecnico Sanchez .

TENNISlAB: Quali sono, secondo te, gli aspetti fondamentali del movimento tennistico spagnolo?
SANCHEZ: Il modello mette insieme diversi aspetti. Primo, ogni generazione di giocatori crea almeno un campione, che divengono riferimenti importanti per i giovani; secondo, il clima in Spagna è favorevole e permette di giocare molto all’aperto anche da bambini, così il livello medio è elevato e le competizioni, sono numerose e di alto livello. La quantità consente di ottenere risultati a prescindere dalla metodologia di allenamento.
Inoltre, rispetto all’Italia le lezioni private costano molto poco e quindi i maestri non sono incentivati a farne e prediligono la Scuola per svilupparla e puntare sull’agonistica.

TENNISlAB: Il livello motorio dei bambini spagnoli che arrivano al tennis è già elevato per l’attività svolta nella scuola come in Francia?
SANCHEZ: La Francia è sicuramente un Paese all’avanguardia nell’educazione motoria scolastica, ma credo che si faccia abbastanza sport anche in Spagna.

TENNISlAB: Quali sono le abitudini sociali e, quindi, quanto credi che contribuisca alla formazione motoria dei bambini spagnoli il playground?
SANCHEZ: I nostri bambini giocano molto all’aperto, per strada. I genitori italiani credo siano molto più possessivi, lasciando poco liberi i propri figli.

TENNISlAB: La formazione motoria di base dei bambini spagnoli è, secondo te, solitamente già sufficiente ad avviare una specializzazione specifica o utilizzate esercitazioni propedeutiche?
SANCHEZ: Con i bambini dai 5 ai 10 anni stiamo cominciando a impostare un lavoro specifico solo da quest’anno, perché la nostra Accademia ha avuto nei primi due anni un indirizzo decisamente di tipo agonistico. Adesso siamo orientati a iniziare un programma specifico per la formazione dei prerequisiti motori dei bambini e da quest’anno abbiamo inserito nel nostro staff il maestro Lorenzo Fargas, un ex professionista, che si occuperà esclusivamente dell’attività infantile.

TENNISlAB: A che età i bambini iniziano a competere in Spagna?
SANCHEZ: Ufficialmente da under12, ma parallelamente si tengono anche tornei under 10. Mentre prima credo che non ci siano competizioni di mini tennis.
Adesso si sta cominciando a sviluppare un programma con la Federazione Catalana per promuovere il tennis nelle scuole.

TENNISlAB: Condividi questa impostazione?
SANCHEZ: Credo che sia meglio cominciare a competere prima. Comunque le competizioni ufficiali hanno il problema di dar luogo a un ranking che determina spesso aspettative e atteggiamenti negativi anche da parte dei maestri che non sempre vi attribuiscono un giusto significato, non analizzando le ragioni del successo, che sono spesso di tipo antropometrico, né considerando in prospettiva le potenzialità, gli aspetti da allenare e la possibilità che con la crescita i valori possano modificarsi.

TENNISlAB: Gli under 10 competono nel campo standard?
SANCHEZ: Si. Nei nostri circoli non ci sono ancora strutture specifiche per il mini tennis, perché chi le gestisce non è ancora interessato a promuoverlo.
Ritengo che le competizioni, fino ad under 14 servano solo a far divertire i ragazzi, ma non abbiano un grosso valore tecnico e predittivo. Ricordo che da under 14 perdevo sempre con un ragazzo alto 1,80 m. Avevamo una differenza di statura notevole che non mi consentiva di vincerci.
I ranking giovanili sono negativi, cominciano ad avere senso quando il livello diviene alto in assoluto.
Inoltre già a 13 anni se si primeggia a livello under si cominciano a prendere soldi dalle ditte, creando confusione e aspettative deleterie. L’atteggiamento degli adulti e dell’ambiente circostante è molto importante per scongiurare una potenziale destabilizzazione dei giovani.
Ricordo su un’importante rivista italiana un under12 in copertina. Questo non è per niente produttivo, anche se mi rendo conto che il tennis italiano ha bisogno di fenomeni.
In Spagna abbiamo attualmente un under 16, Nadal, molto simile a Moya, campione mondiale under 12, 14, numero uno under 16, che quest’anno è andato avanti a Wimbledon juniores e ha esordito con successo nei suoi primi futures, ma non è mai uscito in copertina su nessuna rivista!
In Spagna nei tornei satellite su 128 giocatori 90 sono spagnoli e se i migliori non lavorano duramente cominciano ad essere superati dai rincalzi.

TENNISlAB: Per quanto riguarda le competizioni di mini tennis siete favorevoli ma mi sembra di capire che non avete ancora una organizzazione di gare.
SANCHEZ: Si, perché noi all’Accademia stiamo partendo solo ora, ma contiamo di cominciare ad organizzarle.
Prima i bambini che iniziavano precocemente non avevano attività fino ai 10 anni. Con l’avvento del mini tennis adesso possono iniziare a competere e quindi a divertirsi e migliorarsi. Nel calcio giocano normalmente partite prima dei 6 anni.
Se non avvenisse lo stesso nel nostro sport molti bambini abbandonerebbero.
Verso i 12 anni con lo sviluppo fisico si può iniziare a giocare a tutto campo.

TENNISlAB: Col metodo RITA i bambini possono competere da subito, ovviamente con obiettivi motori, tecnici e tattici che richiedono regole modificate. Credi che questo principio favorisca la formazione sportiva?
SANCHEZ: Credo che per la formazione delle abilità di base dei bambini sia molto efficace, ovviamente devono divertirsi.
Anche quando i genitori comprendono e condividono i principi metodologici, se i bambini non si divertono non si sentono motivati a impegnarsi e continuare.

TENNISlAB: In Italia il Campionato RITA recluta nelle giornate di gara un rilevante numero di bambini tra i 6 e gli 11 anni, sopperendo alla carenza di competizioni tipica del nostro tennis infantile. Non credi che sia un elemento necessario per il rilancio dell’attività e la crescita dei nostri giovani?
SANCHEZ: Credo sia un’ottima cosa, con notevoli vantaggi anche per i circoli e le loro scuole.
Noi al momento abbiamo ancora un numero ridotto di bambini, sia perché abbiamo iniziato da poco, sia perché la nostra struttura non è facilmente raggiungibile, anche se nei week-end l’affluenza comincia ad essere notevole. Quando avremo l’esigenza di far competere il nostro settore infantile punteremo ad organizzare competizioni di mini tennis.

TENNISlAB: Nelle differenti fasce di età che rilevanza percentuale date agli aspetti tecnici, tattici, atletici e psicologici?
SANCHEZ: Inizialmente cerchiamo di trasmettergli l’amore per lo sport più che impostare un programma analitico.
E’ importante cominciare a sviluppare capacità come l’equilibrio e il sentire la palla e il braccio racchetta. La parte atletica è circa il 25-30% del tempo trascorso ad allenarsi e con i piccoli è di carattere prevalentemente generale.
In Spagna abbiamo un elevato numero di competizioni, quindi chi desidera competere può farlo a qualsiasi età a buon livello, pertanto una parte della formazione è sviluppata attraverso le gare, che consentono di responsabilizzare e insegnare a prendere decisioni.
Le competizioni sono comunque uno strumento allenante e non un fine dell’attività giovanile.
Tutto questo rende i nostri bambini autonomi, mentre notiamo che la maggior parte degli italiani che vengono ad allenarsi da noi si aspettano di essere guidati, mancano di spirito di iniziativa.

TENNISlAB: Allenate specificamente gli aspetti strategici e tattici dei vostri allievi?
SANCHEZ: Noi cerchiamo di aiutare gli allievi a giocare in tutte le zone del campo e di migliorare le azioni offensive e difensive.
Quando sono molto piccoli non sempre riescono a mettere in pratica ciò che gli suggeriamo, ma riteniamo comunque importante cominciare a spiegargli gli aspetti del gioco. Crescendo puntiamo a formare giocatori completi e dopo il livello di gioco dipenderà dalle loro caratteristiche e dalla loro testa, cuore e gambe.

TENNISlAB: Seguite un particolare approccio per la preparazione mentale?
SANCHEZ: Noi riteniamo che la psicologia sia un aspetto di competenza esclusiva dell’allenatore, in quanto trascorre molte ore con gli atleti, seguendoli in molte fasi della loro carriera.
Credo che l’intervento dello psicologo debba essere prevalentemente rivolto agli allenatori per formarli e conferirgli competenze specifiche.

LA FORZA GENERALE

Titolo originale: FORZA GENERALE (Costruzione Muscolare di Base)
Autore: Stelvio Beraldo
Tratto da: www.tennislab.it

Si ringrazia R.I.T.A. (Italian Tennis Research Association, è una associazione culturale e di ricerca nata 1998 e diffusa su tutto il territorio nazionale, con lo scopo di promuovere e realizzare attività, studi, progetti, ricerche al fine di migliorare le conoscenze e le competenze professionali dei suoi iscritti, per favorire una ripresa del tennis in Italia)

IMPORTANZA DELLA FORZA GENERALE
La FORZA GENERALE si identifica con l'ottimale efficienza e trofismo di tutti i gruppi muscolari. Quindi una costruzione muscolare tendente a ottenere un equilibrio di forza muscolare e di armonia estetica.
Va tenuto presente che:
- L'allenamento della forza generale può essere utilizzato come fine a se stesso oppure mirato all'incremento successivo dei vari aspetti della forza. Infatti un primo passaggio attraverso un periodo dedicato alla costruzione muscolare è sempre obbligatorio per chiunque intende migliorare in seguito la forza massima, la forza veloce, la forza resistente e l'ipertrofia muscolare.
- Grazie a questa fase di allenamento (forza generale) si ottengono anche gli adattamenti biologici (irrobustimento dell'apparato locomotore, specialmente nelle sue componenti articolari e muscolo-tendinee) e coordinativi, indispensabili per un lavoro più intenso e specifico.
- I carichi che si utilizzano non devono essere elevati. Malgrado questo la forza subirà già un notevole incremento.
- Gli esercizi che coinvolgono più masse muscolari contemporaneamente devono avere assoluta priorità (es.: piegamenti gambe, distensioni e flessioni braccia, ecc.), dando meno valore agli esercizi tendenti a localizzare l'impegno su ristrette regioni muscolari. Questi ultimi possono essere inseriti se si necessita di interventi specifici atti a riequilibrare particolari deficit di forza e trofismo.
- Nei giovani non bisogna avere fretta nell'utilizzare precocemente mezzi e metodi per acquisire la forza. Infatti, al contrario delle altre capacità motorie, anche in seguito la forza risponderà facilmente e rapidamente agli stimoli dell'allenamento. Nello sport agonistico la forza è solo un aspetto delle capacità necessarie per eseguire una azione sportiva dinamica, azione che diventa efficace solo quando sussiste il giusto equilibrio tra la forza muscolare e le altre capacità motorie, in particolare la quantità e qualità del "bagaglio" coordinativo acquisito. Specialmente per gli arti inferiori la forza e la coordinazione possono essere migliorate efficacemente e simultaneamente con esercizi a carico naturale eseguiti con elevato dinamismo (vedi "Miglioramento della forza rapida e della velocità degli arti inferiori con gli esercizi a carico naturale"). Piccoli manubri possono risultare utili ove sia necessario correggere evidenti squilibri di forza dei muscoli del tronco e delle braccia.
I METODI DI MIGLIORAMENTO DELLA FORZA GENERALE
METODO DEI CARICHI RIPETUTI (con carichi bassi e medi)
I parametri sono una rielaborazione di quanto proposto da V.M. Zaciorskij negli anni 70' con la definizione di "Metodo degli Sforzi Ripetuti".
Caratteristiche:
- È il metodo elettivo per la forza generale.
- È indirizzato a tutti, indipendente dall'età e dal sesso. Può essere utilizzato con successo anche da un atleta evoluto che riprende gli allenamenti dopo lunga interruzione.
- Prevede l'utilizzo di carichi bassi e medi tra il 65-80% del massimale, ovvero che permettano l'esecuzione di ogni serie con un numero compreso tra le 14-6 ripetizioni a "esaurimento", intendendo con quest'ultimo termine l'esecuzione fino all'ultima ripetizione possibile eseguita però correttamente.
- Iniziare con una prima fase, della durata di 3-4 settimane ove è opportuno utilizzare percentuali di carico più basse comprese tra il 60-70% del massimale, ovvero tra le 16-10 ripetizioni per serie.
- Scegliere la gamma degli esercizi tra quelli che coinvolgono di più masse muscolari contemporaneamente (es.: piegamenti gambe, distensioni braccia, ecc.).
Parametri di lavoro
Percentuale del carico rispetto al massimale: 65-80%
Numero di serie per ogni gruppo muscolare: 6-8
Numero di ripetizioni in ogni serie: a esaurimento
Ritmo di esecuzione: fluente e controllato
Tempo di recupero tra le serie: completo (almeno 2,5-3 minuti)

METODO PIRAMIDALE (piramide larga)
Caratteristiche:
- È indirizzato a tutti, indipendente dall'età e dal sesso. Può essere utilizzato con successo anche da un atleta evoluto che riprende gli allenamenti dopo lunga interruzione.
- Si differenzia dal precedente metodo solo per l'esecuzione delle serie che hanno un andamento costante prima con carico crescente (andata), poi decrescente (ritorno).
- La progressione del carico tra una serie e la successiva è di circa il 5% del peso utilizzato.
- Tutti gli altri parametri sono simili al precedente metodo dei carichi ripetuti.
- Risulta meno efficace del metodo dei carichi massimali in quanto, nel piramidale tradizionale, vengono proposte pochissime serie efficaci proprio sulle percentuali di carico più stimolanti. Si può ovviare a questo eseguendo con il carico ritenuto ottimale anche più di una sola serie di passaggio.
METODO ISOMETRICO
Caratteristiche:
- Estrinsecazione di forza contro una resistenza fissa, ovvero un lavoro statico del muscolo.
- L'incremento di forza avviene soprattutto nella posizione angolare prescelta dei segmenti corporei. Pertanto è opportuno selezionare ed agire, per ogni esercizio, su almeno tre diverse posizioni angolari, una più chiusa, una intermedia e una più aperta (Figura).
- Affatica rapidamente il sistema nervoso centrale, inoltre, se utilizzato per lungo tempo può perturbare la coordinazione motoria e la estensibilità muscolare.
- È consigliabile solo se usato per brevi periodi come metodo ausiliario per lo sviluppo della forza in posizioni articolari particolarmente "critiche" e caratteristiche di alcuni gesti sportivi (soprattutto con tensioni elevate utili allo sviluppo della forza massima).
Pregi e limiti dell'Allenamento Isometrico
VANTAGGI
- Molto efficace per l'incremento della forza.
- Non richiede una attrezzatura particolare.
- Permette di eseguire una vastissima gamma di esercizi, anche localizzati.
- Consente il dosaggio del carico desiderato in tutte le posizioni articolari dei segmenti corporei.
- Può essere utile per lo sviluppo della forza nelle posizioni angolari dei segmenti corporei "critiche" e caratteristiche di alcuni gesti sportivi (superamento delle "barriere" di forza dovute all'adattamento ai vari metodi utilizzati). Questo soprattutto per la forza massima.
- Usato anche nella riabilitazione in quanto l'estrinsecazione della tensione muscolare non comporta il movimento dell'articolazione e relativa azione di "sfregamento" dei tendini.
SVANTAGGI
- L'incremento di forza avviene soprattutto nella posizione angolare prescelta dei segmenti corporei. Pertanto è opportuno selezionare e agire, per ogni esercizio, su almeno tre diverse posizioni angolari, una più chiusa, una intermedia e una più aperta (Figura). Quindi, notevole dispendio di tempo.
- Non migliora la coordinazione intermuscolare (coordinazione tra i muscoli sinergici) e può perturbare la coordinazione motoria.
- Influisce negativamente sulla estensibilità dei muscoli e sulla loro capacità di rilasciamento.
- Affatica rapidamente il sistema nervoso centrale.
- Controindicato negli sport di rapidità, velocità e forza veloce. In questi casi può essere utilizzato solo per un breve ciclo tendente allo sviluppo della forza massima in particolari posizioni angolari dei segmenti corporei.
- Il sistema cardiovascolare è sottoposto ad uno stress notevole (blocco respiratorio). Pertanto è controindicato in soggetti anziani, cardiopatici e giovani.
Parametri di lavoro
Percentuale della tensione rispetto a quella massima: 65-80%
Numero di serie per ogni gruppo muscolare: 4-6
Numero di ripetizioni in ogni serie: 1 ripetizione della durata di 8-12 secondi
Ritmo di esecuzione: nullo, la tensione si esprime contro una resistenza fissa
Tempo di recupero tra le serie: completo (almeno 2,5-3 minuti)

Metodo per stabilire la percentuale del carico, rispetto al massimale, da utilizzare (Esempio: Esercizio di piegamento gambe).
I tubi del castello presentano diversi fori a varie altezze ove, grazie a degli spinotti (a e b), è possibile poggiare il bilanciere in corrispondenza dell'angolo isometrico di lavoro previsto (b). Stabilito il massimo peso che si riesce a sollevare da quella posizione è poi sufficiente caricare il bilanciere con la percentuale prevista sugli spinotti immediatamente più bassi (a) ed eseguire le serie programmate spingendo l'attrezzo, per il tempo previsto, contro gli spinotti che ne bloccano la salita (b).

giovedì 3 dicembre 2009

L'ALLENAMENTO DEI SISTEMI ENERGETICI SPECIFICI PER IL TENNIS

Da PTR Tennis

L'ALLENAMENTO DEI SISTEMI SPECIFICI PER I TENNISTI

Mark S. Kovacs. (IFPA Tennis and Fitness Academy, Tampa, Florida)

(Articolo apparso su “Strength and Conditioning Journal”, Ott. 2004)


La progettazione dell’allenamento del sistema energetico specifico (ESS) per il tennis dovrebbe basarsi su chiari ed attuali convincimenti delle richieste dello sport. I giocatori di tennis gareggiano regolarmente in partite di più di 2 ore, che richiedono principalmente alta intensità, scambi di breve durata combinati con brevi periodi di recupero. La durata del lavoro e del recupero è altamente variabile e coinvolge diversi gruppi muscolari. Per queste ragioni l’allenamento per il tennis è complesso. Quando si progettano programmi di allenamento è importante allenare i sistemi energetici principalmente coinvolti durante la partita. E’ inaccettabile allenare giocatori di tennis con sistemi validi per altri sport. Pochi altri sport hanno caratteristiche fisiologiche simili a quelle del tennis; quindi gli allenatori devono sviluppare più allenamenti specifici per i giocatori di tennis. Il problema della specificità dell’allenamento è ancora prevalente quando si lavora allo sviluppo delle capacità aerobiche, di solito l’obbiettivo maggiore della fase di allenamento di preparazione principale o non competitiva. Il tradizionale condizionamento “lento – aerobico” e lunghi uniformi interval-training è ancora presente in alcuni programmi di condizionamento tennistico. Correre 10 volte i 400 m. sulla pista o ripetere diverse volte il miglio costruisce la capacità aerobica e un certo incremento alla tolleranza del lattato, ma ciò può non essere un efficace protocollo di allenamento per il tennis. Per aiutare a delineare programmi specifici per il tennis, è importante capire la natura dello sport. Alcuni dati che sono ancora citati normalmente riguardanti il sistema energetico coinvolto durante il gioco del tennis erano forniti da Fox e Mathews (Fisiologia dell’esercizio: teoria applicata al Fitness e alla prestazione) più di 30 anni fa. Questi autori valutarono che

il maggior sistema energetico per la resintesi dell’ATP nel tennis fosse quello anaerobico (80%), quello trifosfato-fosfocreatinico (15%) e

quello aerobico solo per il 5%. Questa predominanza delle fonti energetiche anaerobiche è confermato da altri studi della letteratura (Elliott, Dawson, Pyke. The energetics of singles tennis. J. Hum. Movement Stud. 1985; Richers. Time-motion analysis of the energy systems in elite and competitive singles tennis. J. Hum. Movement Stud. 1995).


La lunghezza degli incontri di tennis ha portato altri ricercatori a concludere che il sistema metabolico aerobico (ossidativo) garantisce il principale meccanismo di resintesi dell’ATP durante tutta la durata del match. Questi opposti risultati possono dipendere dai metodi e dalle procedure di studio. Sebbene i metodi di lavoro continui su lunghe distanze sviluppino le capacità aerobiche, non sembrerebbe un metodo appropriato per i tennisti perché manca di specificità alle richieste fisiologiche di una partita di tennis. Si devono ancora allenare le capacità aerobiche perché la maggior parte della rigenerazione dell’ATP avviene per via aerobica; perciò è opinione dell’autore che l’allenamento intervallato di brevi scatti sarebbe più specifico per il tennis se il carico di lavoro potesse riproporre i tempi della partita (ad esempio con gli adeguati intervalli di lavoro/recupero).


Analisi dei rapporti lavoro/recupero.

Un buon metodo non invasivo per determinare le richieste del gioco del tennis è quello di analizzare gli intervalli lavoro/recupero. I precedenti studi che avevano analizzato gli intervalli lavoro/recupero nel tennis erano molto diversi tra di loro e dipendevano dalla superficie di gioco, livello della competizione e sesso del tennista. Se il tempo a disposizione e le risorse lo permettono, può essere utile analizzare i dati di lavoro/recupero per ogni atleta per determinare un programma di allenamento individualizzato. Comprensibilmente questo non è sempre fattibile. Ecco una breve rassegna, fornita come guida, dalla letteratura disponibile circa gli intervalli lavoro/recupero nel tennis. Nessuna ricerca ha evidenziato che la durata media di un punto, durante un incontro di tennis, superi i 20 secondi. Nella maggior parte degli studi, la durata media di un punto è inferiore ai 15”. In una recente analisi che il nostro gruppo di ricerca ha condotto è stata comparando la finale maschile degli US Open 2003 con quella del 1988, è interessante notare che la durata media di ogni punto è diminuita di oltre il 50% negli ultimi 15 anni. La durata del gioco per ogni punto nel 1988 era di 12”2 ed è scesa a 5”99 nel 2003. Il tempo medio di recupero tra i punti è stato di 15”18 nella finale del 2003 e si è ridotto approssimativamente del 50% dalla finale del 1988. Un’altra importante statistica è che il 93% di tutti i punti giocati durava meno di 15”.

Lo stile di gioco può influenzare la durata dei punti giocati durante in match. Due giocatori da fondo-campo sono soliti giocare dei punti più prolungati rispetto a due giocatori di attacco (serve-volley). Lo stile di gioco potrebbe perciò essere una spiegazione della grande differenza della durata da 15 anni a questa parte. Comunque i due match analizzati coinvolgevano i due migliori giocatori della classifica mondiale dell’epoca, e un giocatore in ogni incontro aveva caratteristiche di picchiatore da fondo campo che si adattava meglio ai terreni di gioco duri, mentre l’altro giocatore si adattava meglio ai campi lenti in terra. Se i maestri usano ancora le vecchie indicazioni di allenamento ricavate da ricerche antiquate, potrebbero pensare di proporre programmi di allenamento specifici per il tennis, ma non usando dei dati recenti, questi programmi sono inefficaci per sviluppare la forma fisica dei tennisti moderni.


Rapporto tra tempo di lavoro e tempo di recupero.

Il rapporto tra durata del tempo di lavoro e tempo di recupero è una parte da considerare molto importante quando si progettano i programmi di condizionamento dei tennisti. Prima di commentare ciò che è riportato dalla letteratura in questo campo, è importante ricordare che la pausa nei cambi campo è al massimo di 90”. Secondo la letteratura il giocatore dispone di 2,3 – 3,27 secondi di recupero per ogni secondo di gioco (J. Chandler. Work/rest intervals in world class tennis. Tennis Pro, 1991; Yoneyama, Watanabe, Oda Game analysis of in-paly-time and out-of-play time in the Davis Cup. World Congress on Sport Sciences. Sydney, Ottobre 1999). Questo potrebbe indicare che per un’attività della durata di 5”, un accettabile periodo di recupero potrebbe essere compreso tra gli 11 e I 18 secondi. Il rapporto tra tempo di lavoro e recupero per un’intera partita, includendo anche le pause tra i games e i cambi-campo, è stato definito tra i 2,9 e i 4,73 secondi di recupero per ogni secondo di lavoro eseguito. (Elliott, Dawson, Pyke. The energetics of singles tennis. J. Hum. Movement Stud. 1985; Kovacs, Strecker, Chandler, Smith, Pascoe. Time analysis of work/rest intervals in men’s professional tennis. S. A. College of Sports Medicine Annual Meeting. Atlenta, Gennaio 2004).


Errori di progettazione nei programmi per il tennis.

Questi dati evidenziano quanto breve sia il tempo per ogni punto nel gioco del tennis. Queste indicazioni, anche se molto importanti, raramente vengono utilizzate quando si studiano programmi di condizionamento fisico per i giocatori di tennis. Troppa importanza è data al tradizionale allenamento aerobico, così come la corsa di 3 e 5 miglia (4,8 – 8 Km) o l’allenamento intervallato lattacido sotto forma di ripetute di 1 – 2 minuti (400 – 800 m). E’ stato visto che i livelli di lattato ematico non salgono durante i match di tennis agonistico di alto livello (Bergeron, Maresh, Kraemer, Abraham, Conroy, Gabaree. Tennis: a physiological profile during match play. Int. J. Sports Med. 1991), la qual cosa potrebbe indicare che l’allenamento che induce un forte incremento di lattato potrebbe non essere utile e quindi sconsiglaito per i giocatori di tennis. Un altro errore di progettazione che i maestri a volte fanno è quello di combinare l’allenamento per la rapidità e agilità con l’ESS (Sistema Energetico Specifico per il tennis). L’allenamento per la rapidità e l’agilità richiede condizioni di allenamento specifiche che permettano un adeguato recupero per i meccanismi cellulari e nervosi. Questo significa che il lavoro dovrebbe essere breve, con lunghe pause di recupero. Questo aumentato tempo di recupero produce un sufficiente rifornimento di ATP e CP (creatin fosfato). Le componenti aerobiche dell’allenamento, riferite al tennis, richiedono uno specifico sovraccarico di allenamento mirato a livello delle cellule muscolari e necessitano di corti periodi di recupero che non sono quelli propri dell’allenamento di rapidità/agilità. Alcuni maestri provano ad allenare queste due componenti simultaneamente, ma questo è un errore. Queste diverse condizioni di allenamento devono essere sviluppate in sessioni separate. Se non c’è molto tempo a disposizione la parte di rapidità/agilità deve essere svolta all’inizio dell’allenamento, quando l’atleta è riposato, mentre la componente specifica aerobica deve essere sviluppata verso la fine della sessione di allenamento.


Applicazioni pratiche.

Vengono qui di seguito riportati alcuni esempi di movimenti di base ed esercitazioni di allenamento che devono essere realizzate nel campo da tennis.


Questi sprint hanno una durata variabile a seconda del livello dei tennisti, ma comunque compresa tra i 5 e i 45 secondi. Lo scopo di questo articolo non è quello di fornire esempi diversi di esercitazioni in campo, ma spiegare come inserire questi tipi di esercizi nelle sessioni di condizionamento fisico dei vostri atleti.

Nella tabella seguente c’è un esempio di sessione di condizionamento fisico per un tennista di college di alto livello agonistico che può essere usato come guida per lo sviluppo della ESS (Sistema Energetico Specifico) particolarmente indicata per il tennis. Questo esempio di programma è progettato usando rapporti lavoro/recupero basati su ricerche pubblicate e traccia le linee guida della durata di ogni singola ripetizione e i recuperi tra le ripetizioni e i set. Questo esempio di sessione può essere usato come modello di allenamento per un periodo non agonistico o preparatorio alla stagione agonistica e risulta il più appropriato sostituto del tradizionale, lento e lungo allenamento aerobico.


Rccomandazioni.

Quando si studia un programma di allenamento specifico per il tennis è utile per gli atleti mantenere una intensità di condizionamento fisico uguale o maggiore dell’intensità sopportata durante gli incontri. La maggior parte della durata del lavoro deve essere inferiore ai 15 sec. mentre il recupero tra le ripetizioni non deve superare i 45 sec. Il rapporto lavoro/recupero deve essere paragonabile con quello che si riscontra nelle partite. Un rapporto accettabile è quello di 2 – 4 secondi di recupero per ogni secondo di lavoro. Dopo 10 – 15 ripetizioni ci dovrebbe essere un recupero più lungo per simulare la pausa tra i games. Tutte queste raccomandazioni sono progettate per lo sviluppo del sistema energetico specifico per il tennis. Non dovrebbero essere usate quando si punta principalmente sullo sviluppo della rapidità o dell’agilità.


Commenti di Luigi Casale al lavoro di Mark Kovacs.

Da molto tempo anche in Italia c’è un vivace dibattito tra fautori dello sviluppo di tipo tradizionale delle capacità energetiche specifiche per il tennis e chi invece propone mezzi e metodi che ricalcano maggiormente gli specifici tempi di lavoro e recupero del gioco del tennis.

Gli allenatori più tradizionali cercano di sviluppare le componenti aerobiche dei propri atleti con sedute di corsa lunga continua o intervallate secondo i classici schemi dell’atletica leggera in periodi dell’anno preparatori e comunque distanti dal periodo agonistico principale.

Ma un quesito s’impone pressante a questa affermazione: esiste oggi un periodo agonistico principale per il giovane tennista agonista? La risposta è senza dubbio NO in quanto i tornei si susseguono a ritmo incalzante senza lasciare il giocatore libero di affrontare 7, 8 settimane di lavoro fisico pesante e completo per lo sviluppo di determinate capacità organico-muscolari.

La mia esperienza ventennale di preparatore fisico di tennisti agonisti mi consiglia di affermare che solo nel caso di vistose lacune delle caratteristiche aerobiche di un giocatore si deve affrontare un periodo di condizionamento specifico per questa capacità. Il mezzo d’indagine per capire se il tennista possiede un suffciente livello di capacità aerobica è l’effettuazione di test specifici (test di Cooper e test di Legèr) che non devono essere ripetuti più di due volte all’anno.

Molto indicate sono le esercitazioni per lo sviluppo della capacità e potenza aerobica come quelli proposti da Mark Kovacs nell’articolo pubblicato in queste pagine, ricordando che anche queste specifiche caratteristiche fisiche del tennista possono e devono essere testate con prove specifiche quali lo Spider test ed altri.

Nel caso in cui i valori dei test di resistenza aerobica risultassero insufficienti (per esempio meno di 3000 m. nel test di Cooper per un tennista agonista di 16 anni) allora si consiglierebbe l’applicazione di un programma specifico comprendente sedute di corsa continua all’80 – 85% della massima frequenza cardiaca sopportabile, allenamenti di ciclismo, sci di fondo o con macchine aerobiche, comprendendo anche partite di calcio o calcetto così gardite dai giovani italiani.

Dr. Luigi Casale



venerdì 16 ottobre 2009

IL SERVIZIO (FORSE) NON E' COSI' IMPORTANTE...

Titolo originale: "Il servizio non conta. O quasi"
Autore: Alessandro Mastroluca
Tratto da: www.blogquotidiani.it - Servizi vincenti di Ubaldo Scannagatta

La percentuale di tiebreak per set negli Slam dal 1980 al 2008 è il punto di partenza per spiegare come Karlovic possa perdere realizzando 55 aces e Federer vincere 15 Slam con una racchetta “datata”.

“A meno che voi non siate uno di quei rari mutanti virtuosi della forza bruta, troverete che il tennis agonistico, come il biliardo professionistico, richiede una mente geometrica, l’abilità di calcolare non soltanto le vostre angolazioni ma anche le angolazioni di risposta alle vostre angolazioni. Poiché la crescita delle possibilità di risposta è quadratica, siete costretti a pensare in anticipo a un numero n di colpi, dove n è una funzione iperbolica limitata dal seno della bravura dell’avversario e dal coseno del numero di colpi scambiati fino a quel momento (approssimativamente)”.

Qualora il pensiero sul campo sia meno analitico di quello di Foster Wallace, le difficoltà di risposta aumentano. E il servizio, come fondamentale ma soprattutto come colpo con cui iniziare e impostare il gioco, diventa più importante. Ma quanto importante? Per provare a dare una risposta e fornire una prima, indicativa, valutazione del peso del servizio nella determinazione del risultato degli incontri di tennis, abbiamo analizzato la percentuale di tiebreak giocati sul totale set nei tornei dello Slam dal 1980 ad oggi (dunque considerando anche gli Open d’Australia negli ultimi anni al Kooyoong Lawn Tennis Club, quando si giocava sull’erba e il torneo ancora non era entrato a far parte del quartetto degli eventi più prestigiosi della stagione). L’indice scelto ha il vantaggio di essere semplice e di immediata lettura e di fornire un’immagine chiara, senza per questo sacrificare troppo alla profondità euristica, per spiegare l’andamento del fenomeno analizzato.

La percentuale di tiebreak giocati è stata misurata, anno per anno, sul totale dei set effettivamente giocati, dunque senza calcolare quelli interrotti per ritiro; per uniformare i dati, considerato che a Melbourne, Parigi e Wimbledon non c’è tiebreak nel quinto set, sono stati conteggiati nel novero dei “tiebreak” anche i parziali decisivi di questi tre tornei che si sono conclusi a oltranza, perché comunque indice di un ancoraggio spinto del punteggio ai turni di battuta. I dati, che sono presentati qui di seguito, confermano che negli anni la preponderanza dei turni di servizio è cresciuta, e che dunque il colpo di apertura del gioco è diventato via via più importante, ma l’andamento contenuto del progresso dimostra come il tennis, contrariamente ad altri sport, come il nuoto o le discipline motoristiche, l’evoluzione dei mezzi non è così determinante. Nei prossimi paragrafi cercheremo di spiegare perché.

AO RG Wim UO

1980-84 18,2 10,5 18,2 12,9

1985-89 15,6 11,3 18,5 13,2

1990-94 12,5 11,7 17,9 15,1

1995-99 14,8 12,9 18,6 14,5

2000-04 15,3 13,1 20,0 16,8

2005-08 15,2 13,4 20,2 17,3

I dati dimostrano che, nei tre tornei che nel periodo considerato non hanno modificato superficie (Roland Garros, Wimbledon e Us Open), il servizio ha via via assunto un peso maggiore, senza però risultare mai davvero determinante. L’andamento differente registrato in Australia pare in larga parte dovuto al cambio di superficie: quando si giocava sull’erba, infatti, la percentuale di tiebreak risulta del tutto comparabile (anzi, identica per il primo lustro) a quella registrata nel corrispondente periodo al torneo di Wimbledon. Proviamo a questo punto a dare qualche possibile interpretazione dell’andamento registrato.

Lo sviluppo tecnologico

Una prima indicazione della rilevanza marginale del grado di modernità tecnologica della racchetta può arrivare da una semplice osservazione empirica: le vittorie e i record di Roger Federer e di Rafa Nadal sono arrivati con delle racchette datate, e questo dovrebbe già dire qualcosa. Ma passando a considerazioni più specifiche, possiamo innanzitutto segnalare come il servizio, su cui si concentra questo studio, è un colpo la cui efficacia è determinata per l’80% non dalle caratteristiche della racchetta ma dalla velocità di rotazione che il giocatore riesce ad esprimere, ovvero il cosiddetto “momento angolare”, che nel movimento del servizio è determinato dalla rotazione del tronco (massima nel punto di maggiore flessione del gomito) e dalla rotazione delle spalle, che sviluppano la forza di risposta dal terreno. Per quanto riguarda il servizio, i passaggi dai telai di legno a quelli di alluminio o fibra, l’evoluzione dalle corde in budello naturale al sintetico, per finire con i modelli dai piatti corde oversize allungati verso il cuore, non sembrano aver modificato in maniera sostanziale la velocità che si può sprigionare dal movimento. In un esperimento realizzato nel 1997 per Tennis.com, Mark Philippoussis servì con una racchetta di legno e con quella che utilizzava all’epoca nel circuito e riuscì a sprigionare due servizi di velocità del tutto comparabili.

Ma lo sviluppo delle racchette ha comportato una serie di modifiche al gioco che possono in gran parte spiegare l’andamento dei dati prima esposti e dare una versione più precisa del perché nel tennis moderno il servizio sia più rilevante che in passato. Quando si usavano le racchette di legno, o i primi modelli in alluminio, il peso dell’attrezzo si aggirava sui 450 grammi, mentre i modelli moderni pesano intorno ai 300 grammi. Come dimostrano studi effettuati sul baseball, che possono con qualche non sostanziale modifica concettuale essere applicati anche al tennis, l’alleggerimento della racchetta non costituisce un vantaggio in sé. Un racchetta più leggera può essere mossa, logicamente, ad una velocità maggiore rispetto ad un modello più pesante. Ma avere uno swing più veloce comporta un assottigliamento della soglia di rischio di errore e modifica l’effetto del colpo sulla pallina, sia in termini di velocità intrinseca che di rotazione su se stessa. Gli studi di Daniel A. Russell della Kettering University di Flint, USA, evidenziano un risultato che è in disaccordo con il senso comune. La massima velocità della palla dopo il colpo non si ha quando la velocità dello swing è elevato e la mazza leggera, e nemmeno quando l’attrezzo è pesantissimo perché la velocità del movimento si abbasserebbe drasticamente, ma c’è una finestra di rendimento dove l’aumento di peso abbassa leggermente la velocità dello swing facendo crescere la velocità della palla in uscita.

Lo swing estremo reso possibile dalle nuove racchette ha reso possibili velocità superiori ai 150 kmh nello scambio, con uno stress notevole sull’accordatura e sulle corde, che per questo hanno iniziato ad essere costruite sempre più in materiali sintetici. Ma anche chi ha continuato ad usare il budello anche tra la fine degli anni ‘90, come Kafelnikov o Pete Sampras, lo tirava anche sopra i 30 chili per aumentare la velocità sprigionabile anche a scapito del controllo (con qualche eccezione, come il nostro Davide Sanguinetti che tirava le corde poco sopra i 20 chili, scegliendo un’accordatura “vintage”, da racchetta di legno).

Il disegno delle racchette “oversize” ha richiesto agli atleti anche qualche piccolo aggiustamento nella biomeccanica dei colpi, servizio compreso. La potenza è infatti maggiore se la palla impatta più vicina al cuore piuttosto che nel baricentro del piatto corde. Il fenomeno si spiega perché, avendo la racchetta il manico saldamente bloccato dall’impugnatura, il telaio può flettersi e l’energia introdotta per la deformazione della racchetta non è restituita dalla palla. Quanto più vicino al cuore si colpisce la palla, tanto maggiore è la rigidezza effettiva del telaio e minore sarà l’energia persa nella deformazione della racchetta. Giocare con una racchetta oversize, con il fusto più corto e un ovale allungato verso il manico, creato un surplus di potenza prima indisponibile. E ha nel tempo modificato, e uniformato, lo stile di gioco.

Ancora Foster Wallace spiega che “le racchette più leggere con la testa più ampia e uno sweet spot più generoso consentono ai giocatori di colpire con più swing e mettere più topspin, e più topspin riesci a generare più forte puoi permetterti di colpire perché cresce il margine di errore”.

Stile di gioco

Nel tennis moderno è quasi sparito l’effetto liftato, utilizzato solo come colpo di difesa e reso sempre più rara una soluzione prima diffusa, il back d’attacco. Una racchetta più elastica, infatti, permette alla pallina di restare più tempo sul piatto corde e consente al giocatore di mantenere un controllo maggiore della direzione del colpo.

A questo va aggiunta la maggiore preparazione fisica dei tennisti e una standardizzazione delle caratteristiche di gioco che privilegia schemi di attacco dal fondo, come il serve and forehand. La maggiore massa muscolare consente di generare rotazioni di braccio notevolmente superiori a quelle possibili anche solo un decennio fa, fino al topspin estremo di Nadal che riesce a produrre rotazioni anche a sei mila giri al minuto. Così giocare di passante è diventato più facile, anche perché si può sfruttare meglio l’anticipo; in più l’utilizzo sempre più massiccio della presa bimane per giocare il rovescio permette di trovare angoli acuti, giocando il colpo in diagonale, impossibili da raggiungere con il rovescio a una mano.

Potremmo spiegare così perché il servizio, seppur diventato più importante nel corso degli anni, non è ancora assurto a colpo assolutamente determinante. Perché da un lato l’accresciuta potenza muscolare hanno consentito, insieme alle innovazioni nella progettazione delle racchette, velocità di servizio che in casi estremi superano i 200 kmh, ma dall’altro hanno reso più facile rispondere d’anticipo o prendere l’iniziativa anche giocando di risposta.

Un’ultima annotazione va fatta per quanto riguarda le superfici. Nonostante quanto detto prima, infatti, la terra battuta rimane la superficie meno preferita dai giocatori che basano molto sul servizio, perché sul rosso questo fondamentale rende meno che altrove, in quanto l’angolo di rimbalzo della palla è vicino ad un triangolo equilatero (dunque segue una direzione inclinata di circa 60 gradi rispetto al terreno). Il clamoroso caso di Karlovic-Hewitt al recente Roland Garros lo dimostra probabilmente meglio di qualunque considerazione statistica. Si conferma anche come il cemento sia una superficie più “equilibrata” dell’erba, che resta il territorio di caccia preferito per i “bombardieri”, perché qui l’angolo di rimbalzo è particolarmente basso. Nonostante il rallentamento della superficie, che Gianni Clerici da qualche anno definisce erba battuta, che ha portato all’estremo della finale del 2002 tra Hewitt e Nalbandian senza nemmeno un serve-and-volley in tutto il match, i livelli di dominanza del servizio nell’ultimo lustro è addirittura maggiore, seppur di poco, di quella che si registrava ai Championships negli anni di McEnroe e Borg.

Come dire, si è evoluta la forma ma la sostanza del Gioco dei Re rimasta la stessa.

martedì 8 settembre 2009

ESERCIZI DI PLIOMETRIA

Tratto dal sito www.canthrow.com
Traduzione della Prof.ssa Giorgia Godino

Utilizzo i seguenti esercizi con tutti i miei atleti sia durante la stagione indoor che in quella

all’aperto. Gli atleti eseguono gli esercizi in gruppi: le matricole e i nuovi lanciatori e gli universitari.

Divido i due gruppi in fasce orarie di mezz’ora. Ad esempio le matricole e i nuovi lanciatori

lavorano insieme dalle 16 alle 16,30; gli universitari dalle 16,30 alle 17. Così facendo il gruppo che aspetta di lanciare esegue una seduta di pesi. Tutti gli esercizi si eseguono velocemente, ma stando attenti all’esecuzione. Il vantaggio di una routine di pliometria è quello di trascorrere l’ultimo periodo di tempo in campo.

E’ importante tenere a mente questi principi:

1. Il contatto a terra del piede deve essere breve.

2. Eseguire prima i movimenti eccentrici (salti in basso) e poi quelli concentrici (salti in alto).

3. Eseguire un numero sufficiente di esercizi di allungamento prima di iniziare il programma.

4. Eseguire sempre i movimenti tecnici in modo corretto.

5. Utilizzare solo altezze regolabili (coni, cubi, etc.).

6. Eseguire prima gli esercizi in avanti, poi quelli laterali ed infine quelli all’indietro.

7. Imparare prima il movimento e successivamente aggiungere la componente di velocità.

Qui di seguito vengono descritti gli esercizi che eseguiamo in quella mezz’ora. Se qualcuno

necessita di una descrizione più dettagliata di un esercizio, mandatemi un e-mail con le vostre

domande. Quando è necessario bisogna improvvisare, se non si dispone di cubi per alcuni esercizi si possono utilizzare i gradini. Fortunatamente presto avrò uno scanner, così potrò scaricare figure da accompagnare ad ogni esercizio. Chi vuole potrà stamparsi questa lista!

RISCALDAMENTO

1. Esercizi sulla linea

Gli atleti utilizzano una linea sulla pista lunga circa 30 cm. Ognuno inizia da un lato della

linea con entrambe i piedi a terra. Tenendo i piedi uniti l’atleta salta dall’altra parte della

linea restando sempre sugli avampiedi. L’atleta ripete l’esercizio allontanandosi un po’ dalla

linea. Dopo aver ripetuto l’esercizio più volte essendosi sempre allontanato un po’ di più

dalla linea, egli ruota in volo ponendosi fronte alla linea. Ora l’esercizio consiste nel saltare

la linea in avanti e indietro. Dopo un po’ di salti si ritorna alla posizione di partenza per finire

l’esercizio. Il tutto viene ripetuto 2 volte.


2. Esagoni

Viene disegnato a terra un esagono con del nastro avente i lati lunghi circa 60 cm. L’atleta

inizia al centro e deve saltare fuori dall’esagono e ritornare al centro per ogni lato.

L’esercizio si svolge intorno all’intero esagono e bisogna rimanere sempre sugli avampiedi.

Il tutto viene ripetuto 2 volte.

3. Balzi su uno stesso arto

L’atleta è in piedi di fronte a 5 coni piccoli (altezza 15 cm.). Egli salterà i coni su una sola

gamba bilanciando il suo peso sedendosi e concentrandosi sul singolo arto. Il ritorno si

esegue con l’altro arto. Il tutto viene ripetuto 3 volte.

ESERCIZI CON I CONI

4. Spostamenti laterali

L’atleta è in piedi di fianco a 8-10 coni di media grandezza (non di fronte). Egli si sposta tra i

coni di lato senza piegare gli arti e rimanendo sugli avampiedi. Il ritorno si esegue dall’altro

lato dei coni. Il tutto viene ripetuto 2 volte.

5. Esercizio dei 4 angoli

Quattro coni sono posizionati a circa 6 metri l’uno dall’altro a formare un quadrato. Gli atleti

si allineano ad un angolo. L’atleta compierà 4 diversi esercizi di destrezza spostandosi

intorno ai coni che formano il quadrato. Primo, gli atleti fanno uno sprint verso il cono

successivo. Secondo, compiono degli spostamenti laterali verso il cono successivo, tenendo il

sedere basso e rimanendo sugli avampiedi. Terzo, gli atleti corrono all’indietro verso il terzo

cono, tenendo il sedere basso e rimanendo sugli avampiedi. Infine gli atleti corrono (Carioca)

verso l’ultimo cono, tenendo sempre il sedere basso e rimanendo sugli avampiedi. L’esercizio

viene ripetuto 3 o 4 volte. Bene come se fosse un esercizio di gara.

6. Pattinaggio su ghiaccio

3 coni sono allineati a circa 1,20 m. l’uno dall’altro. L’atleta è in piedi a fianco di uno dei

coni esterni (non di fianco al cono centrale). Egli salta il cono da un lato (non di fronte) con

entrambi i piedi atterrando sul terreno. Poi salta il terzo cono atterrando solo sul piede più

esterno e subito torna indietro saltando nuovamente il terzo cono. Allo stesso modo farà al

primo cono con il piede esterno corrispondente. Ogni atleta eseguirà l’esercizio 2 volte in

veloce successione. L’esercizio viene ripetuto 2 o 3 volte.

MURO

(Atleta fronte al muro) CONO60 cm CONO60 cm CONO piede esterno (e ritorno

immediatamente indietro per ricominciare allo stesso modo).

ESERCIZI CON I CUBI

7. Danza irlandese

4 atleti sono in piedi ognuno di fronte ad un lato di un piccolo cubo ( 8 alto 30 cm.). Ogni

atleta mette il piede dx. sopra il cubo che gli sta di fronte. Quando tutti sono pronti, parte il

fischio. Essi devono simulare di correre sul posto, ma devono spostandosi tenere la gamba

sopra il cubo. Le braccia si muovono come se stessero correndo. Gli atleti contano 10 volte

sul cubo con una gamba. L’esercizio viene ripetuto 2-3 volte. Per questo esercizio viene

anche preso il tempo per sviluppare la coordinazione nei giovani lanciatori. Essi devono

simulare di correre con le ginocchia alte. Bisogna assicurarsi che essi appoggino il piede sul

cubo, ma non che vi rimangano sopra. Un piede sopra, uno sotto.

8. Balzi verso il basso - Avanzato

Un atleta parte sul cubo (stesse dimensioni di quello dell’esercizio precedente). Alla base del

cubo viene posizionato un cono a circa 60 cm. dal cubo. L’atleta salta giù dal cubo e atterra

tra esso e il cono con entrambi i piedi. Senza effettuare pause, salta sopra il cono con

entrambi i piedi e atterra. Sempre di seguito, salta giù con un ampio balzo verticale e atterra.

Gli atleti devono atterrare con gli arti inferiori piegati 3 volte; dal cubo, dal cono e al termine

del balzo in verticale. L’esercizio viene ripetuto 4 volte. Gli atleti non devono eseguire questo

esercizio fino a che possono fare squat completo una volta e mezza il loro peso corporeo.

9. Balzi doppi su entrambi gli arti

5-8 coni di media grandezza sono allineati in fila con cubi piccoli e grandi (da 70 cm. di

altezza) dopo di essi. Gli atleti si allineano di fronte ai coni, li saltano tutti e saltano sopra ad

ogni cubo tenendo i piedi uniti e rimanendo sugli avampiedi. E’ importante stare a terra il

minor tempo possibile. L’esercizio viene ripetuto 4 volte.

10. Spinte di potenza - Avanzato

Certamente l’esercizio preferito! Un atleta mette un piede di lato ad un cubo di piccola o

media grandezza (la parte esterna della gamba sul terreno deve essere contro il cubo). Con un

movimento fluido, sale sul cubo e salta direttamente sul cubo più lontano con una gamba e

atterra. La gamba più esterna che è rimasta a terra deve stabilizzare l’atleta quando atterra.

Gli altri atleti devono stare attenti o egli potrà farsi male.

Lo scopo dell’esercizio è quello di concentrarsi sulla spinta verso l’alto dell’arto che è sul

cubo.